Passerà anche questa campagna elettorale e la sensazione che qualunque
cosa si scelga andando a votare (o non andando a votare) sia la scelta
sbagliata, non saranno certo gli ultimi fuochi d’artifcio delle manifestazioni
di chiusura o dei dibattiti televisivi a tirarcela via.
Da elettore medio il panorama della politica italiana si presenta come
una sorta di maionese impazzita, che qualcuno continua a “menare”, senza sapere
bene perché.
Partiamo da destra, dove il discorso per me è più facile: sono uno di
quei dinosauri che è convinto che la sinistra dovrebbe essere
“antropologicamente” diversa dalla destra (“dovrebbe essere”, ma purtroppo in
Italia e anche in Europa, non è, almeno negli ultimi 20 anni)
A parte le mie personali idiosincrasie per le teorie liberiste in
economia e il propugnare i valori alla “dio, patria e famiglia” la destra
italiana mi risulterebbe comunque invotabile, per il corollario che si tira
dietro nella storia di questa Repubblica, che la rende la negazione di una
destra liberale: corporativa, collusa quando non scopertamente criminale,
tenuta insieme dal miliardario ridens (che umanamente disprezzo) e condita
dalla xenofobia leghista.
Il cosiddetto centro in realtà sui diritti civili e sulle politiche
economiche è quasi più a destra della destra, (aggiungendoci però un po’ di
sano clericalismo in salsa Casini).
In effetti, per quanto mi riguarda la “destra”
Italiana, parte dai vetero fascisti più o meno conclamati di Casa Pound e Forza
Nuova e arriva appena a destra del PD (qualche volta comincia dentro al PD, ma
questo è un altro discorso)
Il PD appunto, che è riuscito ad ereditare il peggio della prima
repubblica, ammantandolo di un modernismo vuoto di significato, dalla
riabilitazione postuma di Craxi in poi.
Il PD e i suoi “stadi evolutivi” precedenti, sono stati una progressiva
resa alle teorie liberiste in campo economico e alla personalizzazione della
politica in campo istituzionale, con la sbornia maggioritaria e bipolare in
campo elettorale, in un paese che bipolare non è.
Il tentativo insomma di poter credere di governare con il consenso di
una minoranza di elettori, sapendo di non poter mai arrivare alla maggioranza.
Un assetto se non di destra comunque decisamente “di mercato”, che si preoccupa
più della “governabilità” che non della qualità delle politiche di governo
(quando ti allei con Mastella pur di governare, l’esito non può che essere
quello…)
Il mio punto di vista è che in un paese sostanzialmente a sovranità
limitata come l’Italia, il PD e le sue forme precedenti, per riuscire a
infrangere la conventio ad escludendum
che impediva al vecchio PCI di accedere al governo, abbiano dovuto giocarsela
sullo stretto crinale che passava dal mantenere insieme una grande tradizione
politica popolare, un apparato e una rete di interessi consolidati, e al tempo
stesso rendersi presentabile per i poteri forti nazionali ed esteri, buttando
a mare qualsiasi possibilità di reale cambiamento nel sistema Italia (compreso
un ricco campionario di malcostume nella gestione della cosa pubblica, da nord
a sud)
Da qui la vera “doppiezza” (altro che quella che veniva imputata al
PCI) di continuare a sventolare valori e parole d’ordine di sinistra, mentre
dai governi locali e quelli nazionali era tutto un’apertura a logiche di
mercato, riduzione dei poteri di rappresentanza e controllo, moltiplicazione di
un sottogoverno che si insinuava e si insinua anche fuori dalle istituzioni (le
ex municipalizzate, la finanza) quando semplicemente non decide di garantire
determinati interessi, attraverso scelte di investimento infrastrutturale
fondati sul gigantismo e sullo sperpero
di risorse economiche e ambientali. Emblematiche in questo senso le politiche
urbanistiche di tutti i governi di centrosinistra degli ultimi venti anni e lo
scandalo degli scandali costituito dalla TAV.
A questo si aggiunga che il primo vero colpo al sistema delle garanzie
per i lavoratori e al loro potere contrattuale, la madre di tutte le
precarietà, si chiama Legge Treu. E non mi risulta che Treu fosse ministro di
Berlusconi.
Di questa evoluzione se ne possono dare due letture: una “buonista”,
che vede la classe dirigente del PD (DS-PDS) credere realmente che questi
“compromessi” gli avrebbero poi consentito di accedere al potere e conservarlo
il tempo necessario per fare una non meglio identificata “politica riformista”,
e una più malevola, che vede nelle infinite risorse economiche di questo paese
bruciate in questo modello, anche una discreta possibilità di moltiplicare
posizioni di rendita per il loro ceto politico e per i loro “affini”, con
l’esplodere di una questione morale che se in termini “legali” è senza dubbio
meno rilevante e (un po’) meno squallida di quella di PDL e Lega, nondimeno non
è stata minimamente affrontata negli anni dal PD (ed è abbastanza patetico il
fenomeno mediatico sulle “liste pulite”. Se eliminare Crisafulli dal risultato
delle primarie fa “pulito”, ci si chiede quanto potessero essere “sporchi” i
gruppi parlamentari nell'assemblea regionale siciliana e in senato, dove
Crisafulli è rimasto per circa un ventennio…).
Vada come vada, il risultato è stato una generale perdita di
credibilità del loro ceto politico (in gran parte ancora lo stesso, nonostante
qualche rimescolamento nelle prime file).
Nella sua involuzione, il PDS-DS-PD, condito dall’innesto dei Popolari,
è riuscito a bruciare anche tutta una pletora di alleati ai quali doveva essere
affidata la difesa di alcuni vecchi “bastioni” di sinistra e dei nuovi
postmoderni bastioni di una conversione ecologica del sistema produttivo e di
consumi e dei movimenti pacifisti.
Anche qui è stato più un problema di ceto politico di micropartiti,
pronti a svendere qualunque autonomia nelle giunte locali e nelle alleanze
nazionali, in cambio di una poltrona da assessore comunale o regionale.
Che in Italia, la famiglia politica degli ecologisti, sia rimasta a
meno di un decimo di quella che è in altri paesi europei, non è un caso. Dal
1987 in poi, i Verdi hanno fatto tutto il possibile per dissipare il patrimonio
di un ambientalismo politico che c’è, che è diffuso nel paese e di cui il paese
avrebbe un gran bisogno. Convivere con le amministrazioni a più alto impatto
cementizio, a favore delle peggiori soluzioni nella gestione del sistema dei
rifiuti per decenni (caso emblematico la Campania, ma anche la nostra Modena) e
piani infrastrutturali tutti centrati sulla mobilità su gomma come nella nostra
regione, ha giustamente relegato nell’oblio non solo i verdi, ma anche il
patetico tentativo del movimento di Vendola di inserire la parola “Ecologia”
nel nome.
Mi piacerebbe sapere in questo momento dai Verdi o dall’IDV di Carpi,
da SEL e Rifondazione in regione, un provvedimento che sia uno dove la loro
presenza abbia fatto la differenza.
A Carpi, il risultato delle sei liste che costituivano la coalizione di
Campedelli, è sostanzialmente un monocolore PD, con IDV e Verdi presenti in
giunta (questi ultimi senza neanche aver avuto il consenso per eleggere un
consigliere comunale), a fare sostanzialmente da mosche nocchiere.
Aggiungiamo il fatto che a queste elezioni nazionali IDV, Verdi e
Comunisti sono pure stati tenuti fuori dalla coalizione di governo, in quanto
poco presentabili (ma restano misteriosamente presentabili per i governi
locali. Quel che è certo, è che quando sono in ballo poltrone assessorili, a
livello locale diventano incredibilmente più “docili”).
Ed eccoci a Rivoluzione Civile.
In un paese normale, dovrebbe costituire la decente alternativa per un
ecologista di sinistra, ma francamente quel che si può dire di questo cartello
elettorale è appunto che non è nulla di più di un cartello elettorale, raffazzonato
in pochissimo tempo, senza alcun progetto credibile per il futuro (e la vicenda
“dell’abbandono” di quel po’ di movimento referendario che aveva provato a
metterci il naso dentro, per me è molto significativa).
Troppo poco, troppo tardi e fatto male, con la candidatura multipla di
Ingroia (candidato scelto non si sa da chi), una seconda linea di politici di
professione (Diliberto? Nel 2013 uno si dovrebbe ancora ridurre a votare
Diliberto?) e per l’Emilia Romagna la candidatura di Favia, che considero un
ottimo consigliere regionale, ma la sua candidatura è un altro fattore di
impazzimento del sistema, legato ai personalismi con cui questa operazione nasce.
L’uomo che in questi anni si è opposto ferocemente ad una maggioranza che
comprende IDV, Verdi e Rifondazione, si ritrova a rappresentarli come capolista
in regione.
Assurdo, ridicolo e patetico,
sia da parte di chi quella candidatura gli ha chiesto sia d parte sua che l’ha
accettata, dopo che tutte le assemblee degli attivisti della regione Emilia
Romagna gli avevano chiesto di restare al suo posto nonostante il diktat di
Grillo. Personalmente lo considero un
tradimento del mandato dei suoi elettori e della fiducia che le assemblee del
M5S per anni gli hanno confermato.
Resta il M5S (e Grillo).
Il Movimento è stato molto al di sotto delle attese e delle promesse
per quanto riguarda la sua organizzazione interna. Che sia volontà o il
risultato di paranoia e incapacità del duo che lo ha fatto nascere, ce lo dirà
la storia.
Quel che è certo è che sullo scheletro di programma che gira da ormai
tre anni, in realtà non c’è stata nessuna possibilità di intervenire da parte
dei cittadini, nessuna modifica proposta discussa e votata in rete e le
parlamentarie sono state organizzate male, in fretta e “ovviamente” senza
nessuna condivisione delle loro regole (tutte cose che ho già espresso in post
precedenti).
A questo si aggiunge una
comunicazione secondo me sbagliata del
“leader” di un movimento che nasceva come non leaderistico, fino ad arrivare
alle famose dichiarazioni su antifascismo e sindacati, che sono alla base della
fine della mia “carriera” di consigliere comunale.
Tutto vero, eppure, se non ci si ferma alle “grillate” e si va a vedere
l’unica cosa che conta, secondo me, in politica, ovvero i valori fondanti
dell’azione politica e la loro coerenza con l’operato degli eletti e le campagne
che si sostengono, ci ritroviamo sostanzialmente con un movimento che dalla sua
nascita ha sostenuto iniziative di leggi popolari (che i partiti si sono
rifiutati di discutere, violando un diritto previsto dalla Costituzione),
campagne referendarie vinte e stravinte (che il sistema dei partiti ha
affossato nella sua attività legislativa), hanno alzato il livello di
trasparenza e di comunicazione sugli atti delle istituzioni in cui siedono,
avendo l’umiltà di studiarli e di farli discutere anche fuori dalle aule, hanno
effettivamente rinunciato ai rimborsi elettorali (anche questo nel rispetto di
un mandato referendario tradito dal sistema dei partiti) e hanno portato avanti
quando eletti un programma condito di ecologia e difesa dei servizi pubblici.
Sui temi del lavoro, si sono ritrovati quasi sempre sulle posizioni della FIOM
(una delle mie prime esperienze con loro è stata una manifestazione della FIOM
davanti alla Maserati a Modena, quando ancora non ero entrato nel M5S).
In parole povere, il M5S oggi occupa lo spazio di un “decente”
movimento ecologista europeo, con un di più su trasparenza e partecipazione in
un paese dal sistema politico del tutto opaco e non democratico nei suoi
meccanismi di rappresentanza.
A differenza di un “decente” movimento ecologista, è a rischio costante
di “sputtanamento” a causa delle sue
debolezze interne, dell’evidente totale dipendenza dal suo leader in termini di
immagine (ma che al tempo stesso è riuscito a creare una mobilitazione di
persone “vere”, non virtuali, che sui territori stanno facendo cose
encomiabili, con passione e disinteresse).
Insomma, come detto in precedenza, il M5S ha delle potenzialità che,
secondo me è giusto mettere alla prova.
La presenza di molti “cittadini attivi” sul territorio e nelle istituzioni,
credo che sarà il miglior antidoto alle derive del suo leader.
Sicuramente le donne capolista in Emilia Romagna (anche questo un dato
assolutamente irraggiungibile dagli altri partiti, e senza bisogno di “quote”)
e la maggior parte delle candidate e dei candidati che le seguono in lista sono
persone che esprimono quelle potenzialità e dalle quali mi aspetto che svolgano
il loro mandato secondo le caratteristiche migliori presenti nel movimento. Le
stesse che ho visto nell’azione dei loro consiglieri regionali in Emilia e
Sicilia, dove il loro lavoro dall’opposizione, si è rivelato più utile che non
quello di decine di consiglieri in maggioranza.
Il M5S si trova su una vetta di consensi elettorali (e per come è nato
e per come è gestito, sarebbe una vetta anche che si fermasse al 7% a livello
nazionale), che solo in un sistema partitico falso e ipocrita come il nostro
avrebbe potuto raggiungere in così poco tempo.
Se il “macigno” rotolerà dalla
parte giusta del pendio, tritando quel che c’è di marcio nel sistema e salvando
quello che era lo spirito iniziale della nostra Costituzione (che resta una
signora Costituzione), innovandola per quanto riguarda gli strumenti di
partecipazione e realizzandone passi mai realizzati, dipenderà molto dalla qualità
di questi eletti e dal livello di attenzione e pressione che i cittadini
“mobilitati” oggi dalla campagna elettorale terranno su di loro anche in futuro,
che non dalla presenza di Grillo.
Soprattutto, dipenderà dal fatto che si sia imparata o meno la vera
lezione che dovrebbe derivare dalla partecipazione democratica, tanto predicata
dai palchi a 5 stelle di questa campagna elettorale, ovvero dalla capacità di
giudicare anche il movimento a cui si appartiene o che si sostiene, in modo
duro e rigoroso, nello stesso modo con cui giudichiamo il sistema dei partiti, e
a non “affezionarsi” troppo al simbolo né tantomeno a leader e rappresentanti.
Il M5S parte dal vantaggio di non essere stato ancora messo alla prova
su scala nazionale, gli altri li abbiamo visti, e per quanto mi riguarda, non
hanno passato il mio esame di semplice cittadino/elettore.
Ovviamente, tutto quanto sopra, è l’espressione di un mio
personalissimo punto di vista, non sto consigliando ad altri di fare lo stesso né
è mia intenzione convincere chichessia. Si tratta solo di provare a
spiegare, ai due lettori interessati, dove colloco la mia zattera per provare a
galleggiare su questa melma, per questo giro.
Dopo le elezioni, credo che cambieranno molte cose e altre le DOVREMO
far cambiare e magari ci sarà la possibilità di costruire qualcosa di meglio di
una zattera.
(wow. Davvero hai letto tutto fin
qui? Complimenti per la pazienza)
Risposta di uno dei 2 lettori del blog: l'analisi sul m5s è tutto sommato onesta (non pretendo che scompaia ogni tratto apologetico, sia mai).
RispondiEliminaResta il fatto che il Paese ha bisogno di gente che governi.
Ebbene io credo che nel medio-lungo periodo, se m5s non si squaglia alle prossime elezioni, una delle pochissime alternative in mano a questo disgraziato Paese sia un'alleanza PD-M5S.
Lo so, l'ho detta grossa, ma forse, messi come siamo, è meglio non rifiutare a priori ogni idea eretica.
Mi metto il pigiama anti-sassi e vado a letto.
Buonanotte.