Telling Porkies: la grossa e grassa balla di dover raddoppiare la produzione di cibo entro il 2050

Questa segnalazione la rubo dai miei colleghi di ufficio.
La Soil Association, una delle associazioni pioniere dell'agricoltura biologica in Gran Bratagna ha appena pubblicato un corposo rapporto che smentisce molti luoghi comuni sulle tendenze e sviluppi dei mercati agroalimentari, compresa una certa ossessione per gli obiettivi di crescita delle produzioni, legati più che altro agli interessi di specifiche lobbies produttive multinazionali per cereali e zootecnia, nel caso specifico manipolando documenti e statistiche FAO pur di sostenere la propria tesi della necessità di una crescita esponenziale della produzione di cibo, ottenibile solo con metodi intensivi e OGM.
Il rapporto, efficacemente intitolato "Telling Porkies", purtroppo è disponibile solo in inglese, essendo peraltro dedicato a smentire posizioni ufficiali di agenzie governative britanniche, ma la lettura vale la pena (il rapporto lo trovate qui )
Mio personalissimo e primo giudizio a botta calda: questo studio mi riporta pari pari a quello che il buon Amartya Sen (premio Nobel per l'economia indiano, decisamente non un pericoloso comunista o estremista no global) va ripetendo da qualche lustro, studiando il susseguirsi delle carestie indiane: solo in rarissime eccezioni (che potrebbero risolversi effettivamente con scambi internazionali solidali o con mercati veramente aperti ed equi), la fame è provocata da scarsa produzione di cibo, ma da storture del mercato, che comprendono anche l'asservimento di intere zone produttive alle commodities per l'esportazione, in cui cereali per la produzione zootecnica intensiva, giocano un ruolo rilevante, insieme con gli interessi di tutti quelli che propugnano modelli di agricoltura intensive e geneticamente modificata, che rendono inaccessibili i prodotti alimentari anche per chi li produce.

Non si tratta quindi di un problema di "quantità" di cibo da raddoppiare in un sistema di produzione che in realtà è per alcuni versi già ipertrofico pur senza riuscire a sfamare i 6 miliardi di abitanti del pianeta di oggi, ma di garantire l'accesso alla terra e al cibo per tutte le comunità, rimodulando un mercato al momento "sdraiato" sugli interessi dei grandi speculatori di "comodities" e del biotech, che trovano, come nei casi citati da questo rapporto, largo ascolto in esponenti dei governi nazionali di alcuni paesi e  anche nelle organizzazioni internazionali destinate a regolare i mercati.
Complimenti alla Soil Association: ottimo lavoro, come ci hanno da sempre abituato.

Per quanto mi riguarda, su scala micro, non posso non rifarmi anche al dibattito su una variante urbanistica passata in consiglio comunale qualche settimana fa, per consentire ad un'impresa di Carpi di aumentare la sua stalla per l'allevamento intensivo di bovini da latte, in un momento di crisi da sovraproduzione sia per il latte che per i suoi derivati, compreso il parmigiano reggiano
Tutti a spellarsi le mani "bipartisanamente" per complimentarsi con lo "spirito d'impresa", senza un minimo dubbio se la strada della zootecnia intensiva, che noi tutti abbiamo negli anni abbondantemente finanziato con le nostre tasse in molte forme, abbia ancora un senso o meno, e se sia sensato continuare a concedergli spazio nelle nostre campagne, con tutte le conseguenze ambientali che la zoootecnia intensiva si tira dietro.
Unico voto contrario il mio, interpretato come una posizione "passatista" e, ridicolmente da parte del PDL, anche come atteggiamento "anti impresa" (per me che di imprese ci vivo).
Non c'è niente di più vecchio e datato di questa concenzione che lega il "progresso" all'aumento delle produzioni, di qualunque tipo esse siano e qualunque conseguenza comportino.

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