Celo, celo , manca… Serve una nuova comunità “ambientalista” a Carpi?

VI posto una lunga riflessione, partorita sul treno di stamattina che portava al lavoro, che credo sia una risposta dovuta ai “pressanti” inviti a partecipare alla serata di ieri di Carpi in Transizione. E’ la mia reazione a caldo, personalissima e al tempo stesso inevitabilmente politica.

Nulla di definitivo (né nel bene né nel male), se siamo in “Transizione”, sono impressioni destinate anche loro ad evolversi.
Per chi non ha idea di cosa stia parlando, fatevi un giro sul blog di Carpi in Transizione, trovate il link qua di fianco.

Ieri sera ho partecipato al “Transition Talk” che si è tenuto in Sala Duomo.

Fossi un bravo politico, dovrei limitarmi a tesserne gli elogi, dichiarare la mia totale adesione e sperare di “grattare” un po’ di consensi e di impegno a sostegno di campagne comuni da quelli che mi paiono in questo momento fra i pochi a riuscire a far stare diverse decine di persone chiuse in una stanza a parlare dei prossimi cataclismi ambientali e delle possibili soluzioni in una calda notte di inizio estate.

Dato che non lo sono, fatti i dovuti complimenti a chi si è speso per questa iniziativa che sapeva molto di calcio d’avvio, provo a mettere insieme un po’ di ragionamenti, ma dire più che altro di sensazioni, che mi sono rimaste addosso dopo ieri sera, mischiando il mio punto di vista ad un minimo di sociologia spicciola, il tutto deformato dal ruolo “politico” che mi trovo a ricoprire.

Sui contenuti: la presentazione di Cristiano Bottone è stata efficace, ma mentre scorrevano sullo schermo dati e informazioni sullo stato dell’arte del dibattito sul futuro (climatico, energetico, alimentare e quindi economico e sociale) del nostro pianeta, mi si formava in testa la check list dei miei ultimi circa 22-23 anni di ambientalismo, “consumerismo critico” e commercio equo più o meno militante:

- Picco del petrolio: celo
- Picco del territorio: (celo e oserei dire pure doppio)
- Picco del cibo: celo
- Picco dell’acqua: celo
- Picco del debito: celo
- Picco della salute: questo in effetti mi mancava come enunciazione ma direi che era acquisito dal punto di vista intuitivo. Illuminante l’affermazione che la (sub)coscienza dell’ingiustizia generale del sistema in cui viviamo, (che per forza di cose richiede un certo tasso di sfruttamento, a volta anche in forme bestiali, dell’uomo sull’uomo), comunque lavora sul nostro euilibrio psichico anche se neghiamo (o semplicemente dimentichiamo) l’esistenza del problema

Fatta la diagnosi, passiamo alla “cura”:
- Nuovi (vecchi) modelli di produzione del cibo (autoproduzione, filiere locali, bio e permacoltura che ancora io distinguo dalla "permacultura"): celo
- Decrescita energetica: celo
- Partecipazione: celo
- Riscoperta del senso di comunità “aperta” (per dirla alla Habermas): celo come caso di studio per un progetto di tesi poi non redatto, manca come caso pratico.

O forse no, non manca.
Lasciando stare gli ultimi 23 anni di militanze e appartenenze varie, oggi come oggi so di essere inserito in modo più o meno partecipe in diverse sfere di comunità: quella “sentimentale” di famiglia e amici, quella politica per la quale mi impegno, quella del lavoro (che fortunatamente mi porta a parlare di ‘ste cose in parte per "professione”), in fondo anche quella “istituzionale” del consiglio comunale a suo modo è una comunità (che tengo distinta da quella politica di attivisti e militanti), fino a poco tempo fa quella dei bottegari equi (ai quali ora appartengo in modo molto virtuale), quella delle varie associazioni ambientaliste e culturali di cui ho o ho avuto la tessera in tasca e che, non fosse altro che come fonte di informazioni anche saltuarie, ritengo contribuiscano anche loro a definirmi come persona.

Ne serve un’altra?
Devo dire che da quando mesi fa ho sentito parlare per la prima volta delle Transition Town, tutto sommato mi sono detto: ottima esperienza, che mette insieme molte cose risapute o che si dovrebbero sapere (o che si dovrebbe voler sapere!). Una iniziativa “in più” non fa mai male. Forse.

Essendo per natura portato ad un pessimismo cosmico (mitigato da un parziale ottimismo della volontà) e avendo visto in questi quasi cinque lustri di coscienza “politica” infinite “comunità” nascere, crescere, morire (o perdurare in stato vegetativo e solo sulla carta), non nego che, alle volte, verrebbe voglia anche di vedere chi ha voglia di impegnarsi, darsi un’occhiata intorno e provare a non ripartire ogni volta da zero, come se nessuno prima di noi avesse già battuto sentieri, se non proprio uguali, perlomeno paralleli e che portano nelle stesse direzioni, quindi quando vedo qualche iniziativa “nuova”, tendo a mettere la mano sulla pistola.

Così come, pur riconoscendo i meriti e la grandezza di tanti precursori, tendo a mettere la mano sulla pistola quando mi si presentano leader, santoni, guru e illuminati di vario genere ( e qua, la visione di una quarantina di volte della foto del “fondatore” del movimento, francamente non mi ha aiutato)

Nel mondo della “transizione” personalità che hanno avviato iniziative simili alle Transition Town sono infiniti (senza tornare a Gandhi, per stare ai giorni nostri basta una Vandana Shiva, o anche, per certi aspetti, il Carlo Petrini delle Comunità del Cibo che fanno riferimento a Slow Food, ma anche, il Don Ciotti di Libera, Alex Zanotelli e altre centinaia di personalità, spesso misconosciute, che a livello “glocale” da decenni si sbattono su questi temi.
Tanto per intenderci, e per restare alla politica, è la presenza di un Grillo, che mi impedisce di diventare “grillino”, ma questo può anche essere archiviato come un problema personale.
Fra tutte le figure di leader e guru, senza dubbio Rob Hopkins, per quel che ho visto e sentito finora, tutto sommato è la meno pericolosa e più “antileaderistica” che mi sia capitato di vedere, ma essendo io un perfido diffidente, come dicevo, toglierei dalla presentazione di Bottone qualche decina di slides con la sua effige in posa bucolica.

Torniamo al punto: perché il movimento dei “transitori” (o dei transeunti? O dei transeenti?) dovrebbe riuscire là dove Legambiente, WWF, Greenpeace, movimenti per il consumo critico, comunità per le economie alternative e, infine, movimenti politici, hanno fallito?

Intanto, se esistono vuol dire che in parte quei soggetti non hanno fallito. Non ci sarebbero Transition Town senza quei trent’anni di ambientalismo e impegno sociale declinato in varie forme e modi, però, e veniamo allo specifico di ieri sera e di Carpi: la composita platea di ieri sera mi suggerisce anche altre cose.

Ieri sera in platea ho visto persone ch in genere non si vedevano alle iniziative degli “altri” di cui sopra, alcune che invece vedo da anni ronzare intorno a quel tipo di iniziative, alcuni esponenti del partito di maggioranza (carpigiana), guarda caso tutti appartenenti alla stessa area interna (per intenderci il ramo cattolico del PD), tre consiglieri delle variegate (e in gran parte inconciliabili) opposizioni cittadine compreso il sottoscritto, alcuni soggetti di cui conosco (parte) delle storie associative e di impegno per averle condivise e “multiple” anche per loro (partecipanti al GAS, alla coop di commercio equo, all’associazionismo di stampo cattolico, molto scoutismo)

Quindi, per quel po’ di gente che magari superficialmente conosco e che ho visto presente in sala, un rischio che vedo per lo sviluppo di Carpi in Transizione, dato che tutti ci portiamo dietro e dentro quando avviamo un’esperienza anche le nostre identità multiple, è che, a prescindere dalle nostre volontà, anche questa “comunità” parta con una connotazione verso l’esterno e anzi, forse queste persone si sono ritrovate ieri sera per dirsi e ripetersi cose già sentite e dette da altri, le cui “identità” vere o presunte sono forse state incompatibili (o comunque hanno costituito un freno all’entusiasmo e alla partecipazione) con quelle di chi a Carpi sta facendo partire la Comunità di Transizione.

Altro punto: il rapporto con la politica locale: Bottone lo ha detto chiaramente. I risultati si portano a casa (meglio e prima) se c’è la collaborazione dell’aministrazione comunale ma soprattutto se i cittadini decidono di mettere i piedi nel piatto dell’amministrazione pubblica (specie se non siamo nella situazione di Monteveglio: qua la maggioranza è parte in causa sul “picco del territorio”, come di quello energetico e temo a breve di quello del debito, vista la cattiva abitudine di pagare spesa corrente con risorse straordinarie e finite) e quindi anche qui mi metto subito in guardia su una cosa: non si può prescindere dall’identificare le responsabilità politiche relative ai temi di cui il movimento si occupa.

Va bene la presa di coscienza, va bene l’esperienza diretta di altri stili di vita, ma escludere la politica da questo gioco, come ha spiegato Bottone, può rivelarsi un problema. E non escludere la politica significa anche non escludere che bisogna giudicare le proprie appartenenze politiche sul metro delle azioni prese o non prese circa i temi di cui si parlava ieri sera, in modo possibilmente spietato e non accondiscendente: se siamo sull’orlo del baratro, lo spazio per i compromessi è limitato.

E allora, per chiudere, mettiamola così: l’idea della “Città in transizione” è, programmaticamente, quello che, in modo meno definito e accattivante e probabilmente più abborracciato, politicamente sta cercando di costruire chi ruota intorno al programma del Coordinamento Beni Comuni e Partecipazione e a quelli che hanno dato vita alla coalizione che mi ha portato in consiglio comunale.
Non c’è un punto (di “diagnosi” o di “terapia”) delle cose dette ieri sera che sia in contrasto con il programma “civico” della coalizione e soprattutto con la “storia” politica a livello locale di chi fa parte di questa coalizione, quindi, credo che inevitabilmente ci "incroceremo" spesso con le iniziative e le proposte di un movimento/comunità di questo tipo

Solo il tempo e le prossime azioni di chi deciderà di partecipare a questo esperimento, ci diranno se  “Carpi in Transizione” si rivelerà una comunità veramente aperta e capace di non farsi marcare dalle altre "comunità" che operano in Carpi, per alcuni tratti identitari “forti” che ho visto in controluce ieri sera, ma è un rischio (neanche ancora un vero difetto) tutto sommato marginale rispetto all’importanza dei temi che solleva e rispetto alle ambizioni di cambiamento contenute nel percorso che “Carpi in Transizione” vuole intraprendere.

Per questo motivo, personalmente, credo che tutte le persone “di buona volontà” farebbero bene ad avvicinarsi ai soggetti promotori di questo esperimento, cominciare a studiare e condividere e provare a rompere un po’ dei nostri gusci, individuali e collettivi.

Stiamo affrontando quello che è solo l’inizio di una grossa crisi, a noi cercare di fare in modo che si tratti di un cambiamento, anziché d una pura e semplice disfatta. sociale ed ambientale.

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