Leggere la raccolta di saggi "Per un nuovo Occidente" sotto l’ombrellone sicuramente non è
stata la condizione ideale, ma come si diceva prima, la scelta di leggere è
stata più dettata da "romantiche" coincidenze che non da pretese “scientifiche”.
Senza
esserne un cultore (giusto perché non ho il fisico per essere cultore di nulla), a
Polany ci sono affezionato per i motivi di cui sopra, ma banalità personali a
parte, bisogna anche dire che la scrittura e le argomentazioni di Polany
hanno comunque il pregio di una notevole chiarezza e semplicità divulgativa,
nonostante affrontino temi complessi , senza perdere di rigore dal punto di
vista delle scienze sociali.
In altre
parole, un ragionamento di sostanza e di buon senso lo si può esprimere anche
senza rifugiarsi in sbrodolate accademiche e scientismi inutili.
Per la
natura dei saggi raccolti (non solo articoli, ma anche testi di conferenze e
lezioni), il volume cade spesso in ripetizioni, ma ha il pregio di restituire
un’immagine chiara di un’evoluzione delle teorie di Polany e delle sue
convinzioni politiche e morali, prima che “scientifiche”.
La cosa
stupefacente sono in effetti i molti parallelismi con la “Grande
Trasformazione” che dava il titolo alla sua principale opera pubblicata nei primi anni quaranta e alcuni
fenomeni legati alla “nostra” globalizzazione.
Proprio
questo ritengo sia il pregio maggiore dell’opera di Polany: l’attualità di ragionamenti scritti tra gli
anni venti e cinquanta del secolo scorso, in grado di darti punti di vista e
chiavi di lettura della realtà sociale anche a decenni di distanza.
Sul versante
strettamente politico, il suo “socialismo liberale” non è l’annacquamento (se
non il totale abbandono) delle istanze sociali a favore dell’economia di
mercato, che ha caratterizzato la deriva politica dei principali partiti di
sinistra europei (volendo salvare un dignità politica a questo “annacquamento”
, che in realtà, a mio parere è stata
più semplicemente un allegro volersi spartire il bottino del potere in una
società capitalistica da parte delle classi dirigenti di quei partiti).
Tutt’altro,
“l’utopia” di Polany, è il tentativo di
rendere “effettive” le nostre democrazie ricordando che “capitalismo” e
“democrazia” restano termini in conflitto (datemi un politico dei vecchi
partiti socialisti o socialdemocratici europei, che abbia ancora il coraggio di
dirlo, di questi tempi) e che, se l’obiettivo
sono la giustizia e la coesione sociale che ne deriva e l’esercizio dei diritti
fondamentali per tutti, l’uscita non sta nel
collettivismo o nel capitalismo di Stato
Semplice dal
punto di vista politico (nella mia volgare riduzione), molto interessante nella
sua costruzione sociologica e antropologica della storia delle economie delle
società precapitalistiche e della nascita dei vari modelli di democrazia
liberale.
Le
democrazie nate dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, avevano avviato un
percorso non lontano da quello previsto da Polany.
Quello che
non ha fatto in tempo a vedere (beato lui) è stata la resa della “sinistra”
europea alla logica di mercato , da “regolata” diventata “regolatrice” delle
istituzioni politiche, a mio parere costituisce
la principale colpa delle nostre classi dirigenti e al tempo stesso la
principale battaglia politica e culturale da riprendere in mano: riportare l’economia al suo ruolo di
strumento al servizio dell’uomo e non viceversa, eliminando molti degli assunti
che la vogliono la sua “libertà” e le sue “istituzioni” come una condizione
“naturale”.
Ma non
fatevi traviare dalla mia semplificazione, in Polany c’è molto Marx, ma come punto di partenza di
un ragionamento molto diverso da quello delle principali dottrine marxiste e
soprattutto basato una concezione antropologica del tutto differente di quale
sia stato il ruolo dell’economia e della razionalità economica, nel determinare
gli sviluppi delle istituzioni prima e dopo l'avento del capitalismo.
Perchè
arrovelarsi su questi temi? Per mia deformazione mentale, credo che se si
decide di partecipare alla vita politica, lo si debba fare perchè si ha un'idea
di giustizia e un'idea d società. Perchè queste si formino, non si può, ogni
tanto, non affrontare un minimo di filosofia politca, economia e
antropologia.
Le domande
sono sempre quelle: se siamo "obbligati" ad organizzarci in società,
su quali basi lo abbiamo fatto e lo facciamo? Quale idea di giustizia dobbiamo
perseguire nel farlo?
E se si
crede di trovare delle risposte, bisogna sempre rimetterle in dubbio, alla
prova dei fatti e alla condivisione e al confronto con quelle altrui.
E' un tipo
di esercizio che non può finire mai e che, sempre secondo me, richiede un
minimo di confronto e di studio con chi le stesse domande se le è poste prima
di noi (con più profondità, preparazione e talento) e in questo senso, Polany,
secondo me, aiuta.
Vale la pena
farci sopra un pensierino, anche sotto l’ombrellone.
Commenti
Posta un commento
I commenti a mio insindacabile giudizio ritenuti offensivi o clamorosamente off topic, specie se anonimi, saranno rimossi . Fa te...