Il movimento ideale (3): per Carpi



Quindi, dopo avere affrontato i “massimi sistemi”, rispetto a come dovrebbe essere, per me, il movimento ideale, non resta che provare ad immergerlo in un esempio concreto: cosa (e come) dovrebbe proporre il movimento (lista, partito, chiamatelo un po’ come vi pare) che decidesse di presentarsi nel 2014 alle amministrative di Carpi  (sottinteso: per avere il mio voto)?
Intanto cominciando a ribaltare la questione.

Il movimento ideale chiederebbe ai cittadini appartenenti a quell’”area vasta” descritta nei capitoli precedenti e anche qui, cosa LORO vorrebbero vedere come proposta di governo per Carpi.

In un Movimento Ideale, troverei altre persone, mosse dagli stessi valori di fondo (e spererei fossero tante), che mi obbligherebbero a confrontarmi, arricchire, modificare, migliorare, rendere concrete queste proposte, in un processo reciproco di aumento di consapevolezza e con la disponibilità a “metterci la faccia”, perché alla fine, la differenza fra i buoni propositi e le azioni concrete, si misura nella volontà di esporsi in prima persona.

Allora ecco cosa, come cittadino, mi piacerebbe portare su quel tavolo, nei limiti delle mie conoscenze e competenze, nel solco dei miei valori con il carico di aspettative delle mie aspirazioni di persona che vorrebbe vedere una politica diversa.
Giusto qualche esempio, senza nessuna pretesa di esaustività.

La macchina comunale
Resto convinto che si possano recuperare risorse sensibili dal funzionamento della macchina comunale sostanzialmente lavorando su due filonI: riorganizzazione degli uffici e delle figure dirigenziali, con una sostanziale riduzione degli incarichi fuori organico a discrezione del sindaco e delle indennità extrafunzione.
Aldilà delle risorse recuperabili (calcolo non meno di 200mila euro all’anno rispetto alle figure apicali attualmente incaricate da questa giunta), è una questione di equità e responsabilizzazione rispetto alle figure in organico del comune e di decenza rispetto alle retribuzioni di tanti altri lavoratori. In passato, questa amministrazione, per risparmiare le stesse cifre, ha invece preferito ridurre servizi e tagliare il reddito a lavoratori in appalto.
Ne abbiamo già parlato a lungo negli anni passati e resto convinto della giustezza delle posizioni espresse all’epoca.
Così come resto convinto che nelle spese correnti del comune, soprattutto in quelle energetiche per edifici e illuminazione pubblica, si possano recuperare non meno di trecentomila euro l’anno, a favore del bilancio, ma anche di un minore impatto ambientale e facendo da volano per chi lavora in questi settori.
Quello che segue, giusto per cominciare, sulle cose che ho visto in questi anni e sulle quali mi sono fatto un’opinione, poi serviranno i contributi di tanti altri per i numerosi aspetti della nostra vita “in comune” che non tocco ora.

Sociale
Casa, casa e ancora casa.
Il punto è che comunque il comune ha e avrà sempre meno risorse da dedicare al sociale ( ad altri settori), e allora bisogna concentrarsi e recuperare il ritardo accumulatosi negli ultimi  quindici anni, durante i quali abbiamo visto il fenomeno più paradossale (e ingiusto) per le persone che vivono in difficoltà economiche: il massimo dell’espansione edilizia di questo comune, ha corrisposto alla minima capacità di garantire il diritto alla casa ai suoi cittadini.
E se andiamo a valutare le famiglie seguite dai nostri servizi sociali, vedremo che gran parte delle attività di sostegno hanno a che fare con il contribuire alle spese per garantire un alloggio decente.
C’è un’impostazione secondo me sbagliata in come il comune ha investito in questo settore, insieme con gli altri enti pubblici preposti.
Innanzi tutto ha investito in modo discontinuo: in diverse annate di bilancio approvate, non c’è stato un euro per l’ampliamento degli alloggi di proprietà pubblica.
In secondo luogo ha investito male: quando è intervenuto sul mercato lo ha fatto con operazioni volte a risolvere le beghe dei costruttori con palazzine invendute, creando interi condomini “sociali” con un certo rischio di ghettizzazione, quando avrebbe potuto alloggiare più famiglie aprendosi anche al mercato dell’usato e venendo in questo modo anche incontro alle esigenze dei piccoli proprietari di appartamenti, che non riescono ad accedere ad un mercato bloccato.
Ne abbiamo parlato a lungo anni fa con il caso della palazzina di via Ginzburg, si sta per ripetere ora, con il bando finanziato in parte anche dalla regione.
E’ un cambio di “filosofia” che serve e per fare un esempio, l’esperimento della Casa nella Rete ha (aveva?) caratteristiche interessanti,  ma senza un ente pubblico che riesca ad essere attore rilevante anche nel mercato degli affitti non solo “sociali”, ma semplicemente non speculativi, non ha incisività.
Un comune con un programma di diritto alla casa, che fosse in grado di far immettere sul mercato degli immobili, ad affitti equi ma comunque remunerativi , potrebbe poi reimpiegare quelle risorse anche per l’edilizia “assistita”, e comunque otterrebbe  un effetto di calmieramento dei prezzi.
Bisogna trovare misure per disincentivare pesantemente la pratica di mantenere case vuote e al tempo stesso riprendere in mano le proposte passate anni fa in consiglio comunale, circa il coinvolgimento anche della Fondazione CRC nel settore.
Piccoli investimenti costanti in questo settore, ogni anno, mirati soprattutto alla rivalorizzazione di ciò che c’è di già costruito, risolverebbero molti più problemi degli investimenti una tantum visti negli anni passati.
Un’iniziativa del genere andrebbe fatta anche per edifici commerciali nel centro storico: aiutare le proprietà che vogliono rendere vivo il mercato, frenare gli appetiti speculativi dei molti che preferiscono vedere il centro storico svuotarsi dei piccoli esercizi di vicinato e tradizionali piuttosto che abbassare i prezzi (da rapina).

Economia e Lavoro
In questo settore le competenze del comune sono limitate, qualche iniziativa positiva in passato è stata fatta, ritengo che serva anche qua un “di più” di competenza, risorse (anche poche, ma costanti) e volontà nel cercare di valorizzare gli aspetti maggiormente innovativi per rilanciare attività produttive “vere”.
Se vogliamo dare ancora una chance al settore tessile, che non si riassume nei due – tre grandi marchi in grado di affermarsi autonomamente ma in quella che una volta era la miriade di piccole imprese di successo che hanno fatto la ricchezza di questo distretto, allora bisogna cominciare a ragionare come distretto (e sul fatto che questo non sia mai avvenuto prima, qualche responsabilità ce l’ha anche la nostra classe imprenditoriale, oltre a quella politica).
L’ente pubblico dovrebbe essere in grado di farsi promotore di un marchio per una filiera carpigiana dle tessile, incentrata su qualità, innovazione nei prodotti e processi legati al tema della sostenibilità, MASSIMA TRAPARENZA DELLE FILIERE INCLUSE LE CONDIZIONI COMMERCIALI APPLICATE AL LORO INTERNO.
Idea vecchia, mai realizzata,  oggi secondo me necessaria come unico colpo di coda per le tante piccole imprese sparse del contoterzismo carpigiano per arrivare ad un vero MADE IN CARPI, che riesca a unire impresa e responsabilità sociale.
Fatto a livello di distretto, sarebbe una vera innovazione, con un ritorno di immagine non indifferente per realtà imprenditoriali che altrimenti stentano ad affrontare da sole i mercati e restano magari legate a condizioni di lavoro capestro gestite dai grandi marchi e dalla distribuzione.

Urbanistica
Non basta inneggiare ad un nuovo PSC (il piano che sostituirà i vecchi PRG) a “crescita zero”, ritornello con cui l’attuale maggioranza ci allieta dal 2009.
 Ci mancherebbe! Con tutto quello che è stato costruito a Carpi, la “crescita zero” non è una scelta amministrativa, è la semplice presa d’atto della saturazione del mercato edilizio, tenuto conto di tutto quello che c’è ancora di “costruibile” a PRG vigente.
Bisogna avere il coraggio e dotarsi degli strumenti per rivedere quanto previsto anche dall’attuale PRG e non ancora realizzato, limitandone le potenzialità edificatorie, obbligando il settore ad un profondo rinnovamento per diventare quello di cui si parla da anni  ma per il quale non si sono visti che timidi segnali: un settore innovativo, in grado di ricreare spazi urbani partendo dalla modifica dell’esistente e dalla riconversione energetica.
Il nuovo PSC può andare a modificare quelli che le imprese e i proprietari dei terreni chiamano diritti acquisiti. Io vorrei vedere un movimento che ricordi a questi soggetti che ci sono diritti acquisiti ad un’ambiente sano, una mobilità sostenibile e una garanzia di sopravvivenza per le future generazioni, con i quali i diritti alla speculazione edilizia si devono (almeno) confrontare. .
In questo senso, la vicenda dell’area oltreferrovia, il favoleggiato Parco Lama, ridotto dall’attuale maggioranza al logo da apporre ad un progetto di cementificazione residenziale,  è emblematica dello scontro fra due diversi modi di intendere la città, tra le villettopoli che abbiamo visto sorgere in questi anni nella nostra periferia e l’idea di mantenere ampi spazi di terreno da destinare ad uso comune, tutela ambientale, capitale per il futuro.
Come dicevo, la questione Parco Lama è emblematica ma non sarà l’unica, nei prossimi anni.

Beni Comuni
Acqua, rifiuti, energia devono essere sotto il controllo pubblico e forniti alle migliori condizioni di efficienza, facendo pagare il giusto costo per i servizi e per gli investimenti necessari a migliorarli.
Non c’è uno straccio di evidenza (e neanche di logica) nell’affermazione che il privato li possa gestire necessariamente meglio, anzi, abbiamo visto molte evidenze del contrario.
Un’azienda come AIMAG potrebbe avere un ruolo rilevante nella promozione di servizi innovativi (cosa succederebbe se invece di offrire gas, offrisse il modo per risparmiare energia? Quali e quante altre imprese potrebbe svilupparsi da un indotto del genere?).
Perché questo accada, il decisore pubblico deve avere un ruolo chiaro e diretto di indirizzo su questi temi, ed avere uno strumento per realizzarlo: le sue aziende.
Ad oggi, la privatizzazione dei servizi pubblici non si è mai tradotta in un vantaggio per i cittadini né in termini di qualità, né in termini di convenienza, ed anzi ci troviamo con aziende dalle dimensioni mostruose, che di fatto dettano le politiche a livello regionale agli enti locali, ricambiando il ceto politico con il moltiplicarsi aziende e aziendine partecipate e relativi cda e innaffiando a pioggia con parte dei lori dividendi, che sono il frutto di tariffe decise in regime di monopolio, garantito dalla politica.
E’ sbagliato, è costoso, è inefficiente ed è pericoloso per la democrazia locale, come insegnano i casi dei tanti inceneritori sparsi in questa regione, convenienti per i colossi HERA e IREN, ma superflui e dannosi per i cittadini, che comunque li dovranno pagare.
Io credo che bisogna lottare per servizi pubblici e pretenderne l’efficienza, e la cosa risulterebbe più facile se le aziende che li gestiscono fossero sotto il controllo diretto dei cittadini.

Partecipazione e Democrazia
Gran parte delle attività più rilevanti per il cittadino oggi sono gestite dall’Unione Comunale Terre d’Argine, un organismo non eletto direttamente, con un consiglio che stravolge la rappresentanza delle forze politiche per come escono dalle elezioni, e che peraltro deve rappresentare 4 comuni eletti con due sistemi elettorali diversi.
Un movimento ideale che avesse a cuore democrazia e partecipazione, dovrebbe proporre una cosa semplice: se si riconosce che nella gestione comune dei servizi ci sono vantaggi reali, bisogna procedere alla fusione fra i comuni, in caso contrario, l’Unione va sciolta (ed eventualmente i servizi gestiti insieme in forma consortile o associata, ma senza aggiungere un quinto consiglio e una quinta giunta alle quattro già esistenti).
Quale che sia il risultato, un grande comune o il ritorno agli “antichi” confini, i tempi sono più che maturi per sperimentare nuove forme di partecipazione e democrazia diretta, favorendo anche con il ricorso alla rete informatica, l’utilizzo degli strumenti già previsti dallo statuto comunale ma mai utilizzati, quali le proposte di delibera di iniziativa popolare,  ed elaborandone dei nuovi, sperimentando sia nelle forme di consultazione diretta che in rete.

Concludendo (per ora)
Ovviamente un programma elettorale non si esaurirebbe con queste note, queste son quelle che avanzerei io, in un ipotetico tavolo per un ipotetico movimento.
Ci sono aspetti che qui non affronto, come cultura, istruzione e sanità, perché onestamente sono temi su cui ho molto da imparare e poco da suggerire di mio, per questo credo che nel fare una proposta credibile a livello locale serva l’apporto di tanti, per supplire alle singole carenze di tutti.
Motivo in più per sottolineare quanto sia limitante concentrarsi solo sulla figura del candidato sindaco, unico tema che pare dominare il dibattito pubblico a Carpi, per il partitone come per i partitini.

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