Quindi, dopo
avere affrontato i “massimi sistemi”, rispetto a come dovrebbe essere, per me,
il movimento ideale, non resta che provare ad immergerlo in un esempio
concreto: cosa (e come) dovrebbe proporre il movimento (lista, partito,
chiamatelo un po’ come vi pare) che decidesse di presentarsi nel 2014 alle
amministrative di Carpi (sottinteso: per
avere il mio voto)?
Intanto
cominciando a ribaltare la questione.
Il movimento
ideale chiederebbe ai cittadini appartenenti a quell’”area vasta” descritta nei
capitoli precedenti e anche qui, cosa LORO vorrebbero vedere come proposta di
governo per Carpi.
In un
Movimento Ideale, troverei altre persone, mosse dagli stessi valori di fondo (e
spererei fossero tante), che mi obbligherebbero a confrontarmi, arricchire,
modificare, migliorare, rendere concrete queste proposte, in un processo
reciproco di aumento di consapevolezza e con la disponibilità a “metterci la
faccia”, perché alla fine, la differenza fra i buoni propositi e le azioni
concrete, si misura nella volontà di esporsi in prima persona.
Allora ecco
cosa, come cittadino, mi piacerebbe portare su quel tavolo, nei limiti delle
mie conoscenze e competenze, nel solco dei miei valori con il carico di
aspettative delle mie aspirazioni di persona che vorrebbe vedere una politica
diversa.
Giusto qualche
esempio, senza nessuna pretesa di esaustività.
La macchina comunale
Resto
convinto che si possano recuperare risorse sensibili dal funzionamento della
macchina comunale sostanzialmente lavorando su due filonI: riorganizzazione
degli uffici e delle figure dirigenziali, con una sostanziale riduzione degli
incarichi fuori organico a discrezione del sindaco e delle indennità
extrafunzione.
Aldilà delle
risorse recuperabili (calcolo non meno di 200mila euro all’anno rispetto alle
figure apicali attualmente incaricate da questa giunta), è una questione di
equità e responsabilizzazione rispetto alle figure in organico del comune e di
decenza rispetto alle retribuzioni di tanti altri lavoratori. In passato,
questa amministrazione, per risparmiare le stesse cifre, ha invece preferito
ridurre servizi e tagliare il reddito a lavoratori in appalto.
Ne abbiamo
già parlato a lungo negli anni passati e resto convinto della giustezza delle
posizioni espresse all’epoca.
Così come
resto convinto che nelle spese correnti del comune, soprattutto in quelle
energetiche per edifici e illuminazione pubblica, si possano recuperare non
meno di trecentomila euro l’anno, a favore del bilancio, ma anche di un minore
impatto ambientale e facendo da volano per chi lavora in questi settori.
Quello che
segue, giusto per cominciare, sulle cose che ho visto in questi anni e sulle
quali mi sono fatto un’opinione, poi serviranno i contributi di tanti altri per
i numerosi aspetti della nostra vita “in comune” che non tocco ora.
Sociale
Casa, casa e
ancora casa.
Il punto è
che comunque il comune ha e avrà sempre meno risorse da dedicare al sociale (
ad altri settori), e allora bisogna concentrarsi e recuperare il ritardo
accumulatosi negli ultimi quindici anni,
durante i quali abbiamo visto il fenomeno più paradossale (e ingiusto) per le
persone che vivono in difficoltà economiche: il massimo dell’espansione edilizia
di questo comune, ha corrisposto alla minima capacità di garantire il diritto
alla casa ai suoi cittadini.
E se andiamo
a valutare le famiglie seguite dai nostri servizi sociali, vedremo che gran
parte delle attività di sostegno hanno a che fare con il contribuire alle spese
per garantire un alloggio decente.
C’è
un’impostazione secondo me sbagliata in come il comune ha investito in questo
settore, insieme con gli altri enti pubblici preposti.
Innanzi
tutto ha investito in modo discontinuo: in diverse annate di bilancio
approvate, non c’è stato un euro per l’ampliamento degli alloggi di proprietà
pubblica.
In secondo
luogo ha investito male: quando è intervenuto sul mercato lo ha fatto con
operazioni volte a risolvere le beghe dei costruttori con palazzine invendute,
creando interi condomini “sociali” con un certo rischio di ghettizzazione,
quando avrebbe potuto alloggiare più famiglie aprendosi anche al mercato
dell’usato e venendo in questo modo anche incontro alle esigenze dei piccoli
proprietari di appartamenti, che non riescono ad accedere ad un mercato
bloccato.
Ne abbiamo
parlato a lungo anni fa con il caso della palazzina di via Ginzburg, si sta per
ripetere ora, con il bando finanziato in parte anche dalla regione.
E’ un cambio
di “filosofia” che serve e per fare un esempio, l’esperimento della Casa nella
Rete ha (aveva?) caratteristiche interessanti,
ma senza un ente pubblico che riesca ad essere attore rilevante anche
nel mercato degli affitti non solo “sociali”, ma semplicemente non speculativi,
non ha incisività.
Un comune
con un programma di diritto alla casa, che fosse in grado di far immettere sul
mercato degli immobili, ad affitti equi ma comunque remunerativi , potrebbe poi
reimpiegare quelle risorse anche per l’edilizia “assistita”, e comunque
otterrebbe un effetto di calmieramento
dei prezzi.
Bisogna
trovare misure per disincentivare pesantemente la pratica di mantenere case
vuote e al tempo stesso riprendere in mano le proposte passate anni fa in
consiglio comunale, circa il coinvolgimento anche della Fondazione CRC nel
settore.
Piccoli
investimenti costanti in questo settore, ogni anno, mirati soprattutto alla
rivalorizzazione di ciò che c’è di già costruito, risolverebbero molti più
problemi degli investimenti una tantum visti negli anni passati.
Un’iniziativa
del genere andrebbe fatta anche per edifici commerciali nel centro storico:
aiutare le proprietà che vogliono rendere vivo il mercato, frenare gli appetiti
speculativi dei molti che preferiscono vedere il centro storico svuotarsi dei
piccoli esercizi di vicinato e tradizionali piuttosto che abbassare i prezzi
(da rapina).
Economia e Lavoro
In questo
settore le competenze del comune sono limitate, qualche iniziativa positiva in
passato è stata fatta, ritengo che serva anche qua un “di più” di competenza,
risorse (anche poche, ma costanti) e volontà nel cercare di valorizzare gli
aspetti maggiormente innovativi per rilanciare attività produttive “vere”.
Se vogliamo
dare ancora una chance al settore tessile, che non si riassume nei due – tre
grandi marchi in grado di affermarsi autonomamente ma in quella che una volta
era la miriade di piccole imprese di successo che hanno fatto la ricchezza di
questo distretto, allora bisogna cominciare a ragionare come distretto (e sul
fatto che questo non sia mai avvenuto prima, qualche responsabilità ce l’ha
anche la nostra classe imprenditoriale, oltre a quella politica).
L’ente
pubblico dovrebbe essere in grado di farsi promotore di un marchio per una
filiera carpigiana dle tessile, incentrata su qualità, innovazione nei prodotti
e processi legati al tema della sostenibilità, MASSIMA TRAPARENZA DELLE FILIERE
INCLUSE LE CONDIZIONI COMMERCIALI APPLICATE AL LORO INTERNO.
Idea
vecchia, mai realizzata, oggi secondo me
necessaria come unico colpo di coda per le tante piccole imprese sparse del contoterzismo
carpigiano per arrivare ad un vero MADE IN CARPI, che riesca a unire impresa e
responsabilità sociale.
Fatto a
livello di distretto, sarebbe una vera innovazione, con un ritorno di immagine
non indifferente per realtà imprenditoriali che altrimenti stentano ad
affrontare da sole i mercati e restano magari legate a condizioni di lavoro
capestro gestite dai grandi marchi e dalla distribuzione.
Urbanistica
Non basta
inneggiare ad un nuovo PSC (il piano che sostituirà i vecchi PRG) a “crescita zero”,
ritornello con cui l’attuale maggioranza ci allieta dal 2009.
Ci mancherebbe! Con tutto quello che è stato
costruito a Carpi, la “crescita zero” non è una scelta amministrativa, è la
semplice presa d’atto della saturazione del mercato edilizio, tenuto conto di
tutto quello che c’è ancora di “costruibile” a PRG vigente.
Bisogna
avere il coraggio e dotarsi degli strumenti per rivedere quanto previsto anche
dall’attuale PRG e non ancora realizzato, limitandone le potenzialità
edificatorie, obbligando il settore ad un profondo rinnovamento per diventare
quello di cui si parla da anni ma per il
quale non si sono visti che timidi segnali: un settore innovativo, in grado di
ricreare spazi urbani partendo dalla modifica dell’esistente e dalla
riconversione energetica.
Il nuovo PSC
può andare a modificare quelli che le imprese e i proprietari dei terreni
chiamano diritti acquisiti. Io vorrei vedere un movimento che ricordi a questi
soggetti che ci sono diritti acquisiti ad un’ambiente sano, una mobilità sostenibile
e una garanzia di sopravvivenza per le future generazioni, con i quali i
diritti alla speculazione edilizia si devono (almeno) confrontare. .
In questo
senso, la vicenda dell’area oltreferrovia, il favoleggiato Parco Lama, ridotto
dall’attuale maggioranza al logo da apporre ad un progetto di cementificazione
residenziale, è emblematica dello
scontro fra due diversi modi di intendere la città, tra le villettopoli che
abbiamo visto sorgere in questi anni nella nostra periferia e l’idea di
mantenere ampi spazi di terreno da destinare ad uso comune, tutela ambientale,
capitale per il futuro.
Come dicevo,
la questione Parco Lama è emblematica ma non sarà l’unica, nei prossimi anni.
Beni Comuni
Acqua,
rifiuti, energia devono essere sotto il controllo pubblico e forniti alle
migliori condizioni di efficienza, facendo pagare il giusto costo per i servizi
e per gli investimenti necessari a migliorarli.
Non c’è uno
straccio di evidenza (e neanche di logica) nell’affermazione che il privato li
possa gestire necessariamente meglio, anzi, abbiamo visto molte evidenze del
contrario.
Un’azienda
come AIMAG potrebbe avere un ruolo rilevante nella promozione di servizi
innovativi (cosa succederebbe se invece di offrire gas, offrisse il modo per
risparmiare energia? Quali e quante altre imprese potrebbe svilupparsi da un
indotto del genere?).
Perché
questo accada, il decisore pubblico deve avere un ruolo chiaro e diretto di
indirizzo su questi temi, ed avere uno strumento per realizzarlo: le sue
aziende.
Ad oggi, la
privatizzazione dei servizi pubblici non si è mai tradotta in un vantaggio per
i cittadini né in termini di qualità, né in termini di convenienza, ed anzi ci
troviamo con aziende dalle dimensioni mostruose, che di fatto dettano le
politiche a livello regionale agli enti locali, ricambiando il ceto politico
con il moltiplicarsi aziende e aziendine partecipate e relativi cda e
innaffiando a pioggia con parte dei lori dividendi, che sono il frutto di
tariffe decise in regime di monopolio, garantito dalla politica.
E’
sbagliato, è costoso, è inefficiente ed è pericoloso per la democrazia locale,
come insegnano i casi dei tanti inceneritori sparsi in questa regione,
convenienti per i colossi HERA e IREN, ma superflui e dannosi per i cittadini,
che comunque li dovranno pagare.
Io credo che
bisogna lottare per servizi pubblici e pretenderne l’efficienza, e la cosa
risulterebbe più facile se le aziende che li gestiscono fossero sotto il
controllo diretto dei cittadini.
Partecipazione e Democrazia
Gran parte
delle attività più rilevanti per il cittadino oggi sono gestite dall’Unione
Comunale Terre d’Argine, un organismo non eletto direttamente, con un consiglio
che stravolge la rappresentanza delle forze politiche per come escono dalle
elezioni, e che peraltro deve rappresentare 4 comuni eletti con due sistemi
elettorali diversi.
Un movimento
ideale che avesse a cuore democrazia e partecipazione, dovrebbe proporre una
cosa semplice: se si riconosce che nella gestione comune dei servizi ci sono
vantaggi reali, bisogna procedere alla fusione fra i comuni, in caso contrario,
l’Unione va sciolta (ed eventualmente i servizi gestiti insieme in forma
consortile o associata, ma senza aggiungere un quinto consiglio e una quinta
giunta alle quattro già esistenti).
Quale che
sia il risultato, un grande comune o il ritorno agli “antichi” confini, i tempi
sono più che maturi per sperimentare nuove forme di partecipazione e democrazia
diretta, favorendo anche con il ricorso alla rete informatica, l’utilizzo degli
strumenti già previsti dallo statuto comunale ma mai utilizzati, quali le
proposte di delibera di iniziativa popolare,
ed elaborandone dei nuovi, sperimentando sia nelle forme di consultazione
diretta che in rete.
Concludendo (per ora)
Ovviamente
un programma elettorale non si esaurirebbe con queste note, queste son quelle
che avanzerei io, in un ipotetico tavolo per un ipotetico movimento.
Ci sono
aspetti che qui non affronto, come cultura, istruzione e sanità, perché onestamente
sono temi su cui ho molto da imparare e poco da suggerire di mio, per questo
credo che nel fare una proposta credibile a livello locale serva l’apporto di
tanti, per supplire alle singole carenze di tutti.
Motivo in
più per sottolineare quanto sia limitante concentrarsi solo sulla figura del candidato
sindaco, unico tema che pare dominare il dibattito pubblico a Carpi, per il
partitone come per i partitini.
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