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Esisteva (e ancora resiste) un mito in Emilia Romagna,
ovvero quello della “superiorità” di una classe dirigente in grado di fare di
questa regione una fra le più ricche e con la più alta qualità della vita in
Europa.
Potevano cambiare governi e segretari di partito a livello
centrale, ma il mito dell’efficienza emiliano romagnolo restava
indissolubilmente legato a quello della concretezza dei nostri amministratori e
ad una sorta di carisma divino che faceva dei sindaci, presidenti di provincia
e presidenti di regione, da Rimini a Piacenza, i gestori della principale
eredità di un modello socialdemocratico di stampo svedese, ma con in più la
riviera e il prosciutto di Parma.
E’ un mito che riscalda il cuore di noi emiliani che ci
siamo cresciuti e che si basa su fondati primati, che fanno, anche per il
sottoscritto, parte della propria identità che, per adesione od opposizione, in
Emilia non può prescindere anche dall’identità politica e dal ruolo avuto dal
partitone in questa regione.
In tempi di vacche grasse, i meccanismi di selezione delle
nostre classi dirigenti, specie in politica, potevano permettersi di nutrirsi
più di conformismo a questo modello amministrativo di ordinaria
amministrazione, che non su competenza e innovazione e anzi, nessuno sentiva
manco il bisogno di radicali cambiamenti o rinnovamenti.
Per intenderci: se Errani ha regnato in Emilia per 15 anni,
senza dubbio lo si deve alle sue capacità di manovra nel partito e in regione,
ma oggettivamente qualcuno saprebbe elencarmi una qualche differenza dalle
presidenze Boselli o Bersani? (per chi c’era)
Insomma, il punto è che il gioco funzionava perché
oggettivamente dalla fine della guerra ad oggi, classe dirigente del partitone
e “ceti produttivi”, in questa regione hanno battuto sostanzialmente pari e perché
fino agli inizi degli anni ’90 è sopravvissuta un’etica nella classe dirigente
del partitone, che faceva sì che la nostra classe politica, fatte salve quel
minimo di ambizioni personali, fosse comunque una classe di servizio alla
collettività (o almeno ad un ampia parte della collettività).
Poi qualcosa si è incrinato, il mondo è cambiato e, a mio
modesto parere, sono esplose in regione tutte le magagne di un sistema di
professionismo politico, sempre meno spinto da visioni politiche di cambiamento
e di “sacrificio” nel nome del Sol dell’avvenire, a favore della mera gestione
dell’esistente, più preoccupata per i propri destini personali e per quelli di
chi poteva garantire a questa classe politica il perdurare di carriere, spesso
ben remunerate, che altrimenti, una genia di personaggi, con scarsi titoli di
studio e nessuna esperienza lavorativa nel mondo reale, avrebbe potuto
agguantare fuori dal recinto della politica.
Ancor ancora qualcosa si salva, ma a sei giorni dalle
elezioni regionali bisogna anche avere gli occhi per capire cos’è diventata la
classe dirigente del partitone che regnerà indisturbata per i prossimi cinque
anni, inossidabile e senza nessun cambiamento che non sia legato ad un
lentissimo ricambio generazionale, dove peraltro le nuove leve hanno mantenuto
tutto i difetti delle vecchie e sono riuscite a perdere gran parte dei pregi in
termini di etica e competenza.
Diamo un’occhiata alla foto qua sopra: il tizio di destra è
finito condannato per uno scandalo, che in qualsiasi paese decente avrebbe
dovuto segnare la fine della sua carriera politica anche senza che ci fossero
state implicazioni penali: la cooperativa presieduta dal fratello ha avuto un
finanziamento illegittimo per un milione di euro (verità accertata in sede di
giudizio) dalla regione che lui governava.
Ora uno può anche credere che Errani (Vasco) non sapesse dei
menaggi di Errani (Giovanni), e nessuno pretende (purtroppo) che i nostri
politici facciamo come quel ministro tedesco che si dimise quando si scoprì che
aveva copiato la tesi di laura, però almeno il senso del ridicolo andrebbe salvato.
Il nostro invece rimane al suo posto fino al secondo grado
di giudizio, e quando si dimette i compagni di partito gli fanno pure gli
applausi.
Ecco io di un partito che applaude un condannato, sarò un
filino prevenuto, ma tendo non fidarmi più che sia lo stesso che faceva le battaglie
per la legalità e sventolava la questione morale, quando gli scandali erano
altrui.
Il tizio di sinistra invece era il capogruppo del partitone
nel consiglio regionale, insomma, mica l’ultimo coglione che passava di lì, ma
dal punto di vista antropologico, è ancora più tristemente simbolico e
rappresentativo di cosa intendo quando parlo della caduta della qualità dei
nostri amministratori.
Il Monari infatti, con quella sua complessione fisica da
mangiatore di salama da sugo, già in passato si era fatto notare (in un
dibattito consiliare in regione) per l’appassionata e commossa rivendicazione
del diritto del funzionario di partito per anni sottopagato, a rivalersi, finalmente giunto
in un posto di potere che conta, e concedersi quel minimo di lussi che la sua
vita di figlio di operai gli aveva negato.
Ora, dato che pure io sono figlio di operai, a me che uno
dei principali esponenti del fu partito dei lavoratori rivendichi il diritto a godersi
qualche privilegio (tipo le cene a base di ostriche e champagne), non mi fa
sentire particolarmente rappresentato, ma forse sono un filino prevenuto...
Aggiungiamo il quadro umano che ne esce dalla recente pubblicazione
del Monari pensiero durante gli incontri con altri capigruppo una volta beccati
con le mani nella marmellata (attendo ancora di vedere qualche centinaio di
post su FB di consigliere e assessore PD indignate per gli insulti sessisti
rivolti ad una giornalista del servizio pubblico, sono fiducioso) e il quadro
si chiude.
Quel tizio lì è il frutto della “meglio gioventù” del
professionismo politico del partitone anni ’80 e ’90, che oggi si appresta a
prendere il posto di quel presidente che “non vede e non sente” quando suo
fratello si intasca un contributo milionario non dovuto.
Del resto, date un occhio alle liste dei candidati in questa
provincia: come già detto, per i quattro posti papabili del partitone sono in
lizza quattro funzionari di partito, età media over 45, che si millantano come
“nuovo” e “cambiamento” ma che sono in perfetta continuità con la catena di
montaggio del funzionario di partito da vent’anni a questa parte e che in
questi vent’anni mai (MAI) hanno fato emergere una critica o un’idea diversa da
quello che era il modello Errani per la regione, anzi, sono pronti a eliminarne
ogni residua anomalia come nel caso della difesa delle piccole (ed efficienti)
multiuitlities come AIMAG, che il nostro ex sindaco oggi candidato in regione,
da sempre vorrebbe vedere inglobata dentro HERA, che è poi quella roba che la giornalista
insultata dal mangiatore di salama da sugo, ieri sera ci ha chiaramente
illustrato in tv…)
Insomma, alla fine della fiera, tutti quanti, bene o male,
volenti o nolenti, abbiamo vissuto per decenni all’ombra di un mito, quello
della “buona classe dirigente” che, per chi lo vuole vedere, oggi, più che un mito
è diventato un film horror.
Per recuperare un minimo di etica nella gestione della cosa
pubblica nei nostri territori, per frenare questo processo irreversibile di
decadenza nella qualità del nostro personale politico, l’unico modo è fare
saltare i meccanismi di trasmissione del potere che hanno allevato una classe
sempre meno dirigente e sempre più “digerente” (e più grezzi alla Monari erano,
meglio era per chi aveva interessi reali da gestire, perché gente senza arte né
parte, la si può controllare meglio facendole credere di essere loro i
controllori).
Il tutto tenuto conto che dietro a questi “nuovi” cinquantenni, è già pronta un’altra informata di trenta-quarantenni nelle piccole amministrazioni comunali, pazienti e pronti a subentrare nella catena "digerente", nella certezza che di lustro in lustro qualche sedia si libera e alla fine c’è posto anche per i Monari di turno.
E’ molto triste, e umanamente complicato, per chi come me viene da quella tradizione
politica, ma non ci sono alternative se non farsi tutti un bagno di sana realtà
e cambiare davvero, partendo dall’unica cosa che questa “classe digerente” può
capire, ovvero togliendole un consenso assoluto, che hanno ereditato
praticamente senza alcun merito da chi ci ha preceduto e che stanno con molto
demerito dilapidando.
Per me ovviamente, l’operazione va fatta da sinistra,
appoggiando chi dice e fa cose di sinistra e non chi semplicemente si
accontenta di sventolarne la bandiera e poi accomodarsi al tavolo di questo
sistema di potere.
Alle regionali precedenti, visti gli schieramenti, l’unica opzione possibile era
votare M5S, che poi ha tradito molte delle sue premesse e si è avviluppato in un
“grillismo” fine a se stesso.
Oggi, per fortuna, ci siamo costruiti l’alternativa con la
lista L’Altra Emilia Romagna, che mi pare un buon punto di ripartenza, sul
quale ci sarà poi in futuro molto da lavorare.
Poi ognuno faccia come meglio crede, ma stare a casa o
andare a votare “come sempre” per riflesso condizionato (o peggio consegnare il
voto ai rottami del centrodestra berlusconiano), a mio modo di vedere, poi non
consente di lamentarsi se le cose non vanno.
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