In parte è già così, ma con le riforme volute da Renzi (che
ora non ha manco più la scusa di averle dovute accettare nel nome del
compromesso con Berlusconi, sono proprio tutte sue), l’assetto delle nostre
istituzioni nazionali prenderà la piega che abbiamo già visto prendere a quelle
locali, il tutto deciso da una camera che, come ripetono a ignoranza Renzi e i
suoi epigoni come il capogruppo Speranza, “ha i numeri” per votare le riforme, se non
fosse che quei numeri li ha in forza di una legge elettorale considerata iniqua
e incostituzionale, che consente ad una
coalizione che non arrivava al 30%, spappolatasi il giorno dopo le elezioni, di
prendere decisioni a nome di tutti, ad un partito che in quella camera dovrebbe
rappresentare si e non un quarto degli italiani.
Un bell'esempio di democrazia.
Dicevamo del parallelo con i governi degli enti locali, dopo
la riforma del 1992.
Nei fatti ci ritroveremo di fronte ad un sistema fintamente parlamentare, dove i premi di maggioranza e i parlamentari in gran parte indicati dai leader o dagli apparati siederanno
sostanzialmente per accelerare quel processo che vede le assemblee elettive di
questo paese diventare meri organi di approvazione delle decisioni degli
esecutivi.
Nei comuni e nelle regioni è già così, appunto almeno dal ’92,
se possibile con riforma delle Provincie e l’invenzione delle Unioni Comunali,
la cosa è ulteriormente peggiorata.
Il punto è che in realtà in queste assemblee elettive si
passano nottate a fare le repliche di una specie di eterno “Ballarò dei piccoli”,
dove esponenti di partito riescono a rimpallarsi le responsabilità dei regimi
totalitari del secolo scorso o dei guati o fasti della globalizzazione
economica, anche parlando di buche delle strade, tanto quel che c’è da decidere
lo decide l’esecutivo (sindaco e giunta a livello locale, premier e governo a
livello nazionale) e tutto lo spettacolo circenze delle assemblee elettive è
svuotato (a livello locale lo è già, a livello nazionale lo sarà ancora di più
di quanto non sia oggi, visto l’andazzo della continua “legislazione per
decreto”, che ha sostituito la norma dei processi parlamentari prevista dai
nostri Padri Costituenti).
Se avete mai provato ad assistere ad un consiglio comunale,
saprete che a parte qualche ordine del giorno su questioni, diciamo cosi, “celebrative”
o “ideali”, non c’è mai stato un rilevante atto di giunta che sia stato
possibile modificare in seguito ad un dibattito consiliare.
Mai.
La giunta propone, l’oppposizione se è brava fa controproposte che comunque non avranno MAI possibilità di essere accolte,
se è pessima la butta in caciara, comunque la maggioranza difende a spada
tratta l’inammissibilità di modifiche a un bilancio o a un provvedimento, manco si trattasse di un testo sacro, moltiplicando interventi tutti dallo
stesso contenuto.
Se va bene e c’è qualche consigliere sagace, ci si può
divertire con un sano spettacolo di ficcante analisi non scevro di qualche
punta di sarcasmo, se va male si va alla rissa
e agli insulti a prescindere.
Fine della fiera.
Se le riforme di Renzi passeranno, questa sarà la fine degli
istituti di rappresentanza previsti dalla nostra Costituzione (in parte già è avvenuta nel modo di legiferare, semplicemente il processo sarà ancora più evidente e irreversibile).
Una scivolata nel leaderismo e nella dittatura della
maggioranza (e se non si è maggioranza arriva in soccorso la riforma elettorale
per garantire ad una “minoranza qualificata” di governare), che è la negazione
di quello che prevedeva la nostra Costituzione.
Molto di quel che è stato demolito nei suoi principi dalle
prassi degli ultimi governi, con il beneplacito del pessimo presidente
Napolitano, ora sarà sancito anche nella forma di una Camera elettiva blindata,
di un Senato di seconda nomina che circoscriverà il dibattito a forze che messe
insieme non arriveranno a rappresentare il 60% dei sempre meno elettori, che si
rifugeranno in massa nel non voto, vista la totale impossibilità di giocare
anche un minimo ruolo di cittadinanza attiva e democratica dentro le
istituzioni.
Lo svuotamento degli istituti democratici di questo paese è
il prgetto che persegue il partitone, paradossalmente chiamato democratico,
anche nelle sue versioni “pre-renziane”(e ne hanno goduto assai nel governo degli enti locali).
La differenza è che Renzi sta per riuscirici, se nessuno lo
fermerà prima o se non riusciremo anche stavolta, come ai tempi delle geniali riforme Berlusconi-Calderoli, a bloccarle con il Referendum Costituzionale (che è senza quorum...).
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