Nomadelfia, per quanto mi riguarda, è stata una parentesi
nella storia carpigiana, “parcheggiata” per anni in una sorta di limbo
indefinito, di cui ovviamente si era sentito parlare, ma mai approfondita.
Un po’ per il pregiudizio culturale frutto della decennale
contrapposizione frontale fra comunismo e clericalismo dell’epoca, che di fatto
relegava anche un’esperienza paradossalmente invisa alle gerarchie
ecclesiastiche, nella categoria generale della “roba da preti”, un po’ perché questa esperienza pare continui
ad essere vissuta come una parentesi nella storia locale, che cosa fosse
precisamente Nomadelfia, perché fosse nata nell’ex campo di concentramento di
Fossoli, perché se ne fosse dovuta andare, per quanto mi riguarda, era (e in
parte resta) un mistero.
Caso volle che durante le ultime vacanze estive in Corsica,
una sera ci ritrovassimo a cena in un ristorantino sulla spiaggia, nella
classica situazione allargata ad amici degli amici, e fra i tanti presenti ci
fosse anche la madre di una di queste amiche, che nel pomeriggio avevamo
scoperto avere vissuto a Nomadelfia, sia nella sua prima versione carpigiana,
che in quella maremmana.
A me che piace ascoltare storie, non potevo certo farmi
scappare l’occasione di sentirne una così particolare, vicina e al tempo stesso
remota (in molti sensi) ed è stato con gran piacere che ho scoperto che questa
gentile signora, dotata di un notevole spirito, cordialità e gusto per il
raccontare, aveva scritto su questa esperienza un libro.
Così ho fatto quello che non avrei mai pensato di fare, per
tempo, pigrizia e notevole pregiudizio culturale: al ritorno a Carpi, me ne
sono andato a cercare il volume in libreria e, con calma, me lo sono letto.
“Perché Nomadelfia” è prima di tutto la biografia di
Valentina Cammertoni, che parte da prima della guerra, e descrive in modo
piano, semplice ma delicato, la vita dell’Italia fra la fine dei trenta e la
guerra, nella prima parte.
Seppure di estrazione sociale diversa, e ambientata in zone
diverse da quelle a me note, ho risentito l’eco delle infinite storie dei mie
nonni e dei miei genitori, su un tempo della mia famiglia fatto di stenti e
miseria, condito dalla dittatura prima e dalla guerra poi.
Nella seconda parte arriva finalmente Nomadelfia:
effettivamente, per come è stata raccontata e per i tempi, l’esperienza di
quella vita comunitaria doveva essere qualcosa di incredibilmente rivoluzionario.
Non sapevo dei problemi avuti da Don Zeno con le gerarchie
ecclesiastiche, ma in effetti a leggere cosa fosse Nomadelfia, la cosa non
stupisce.
Per un non cattolico riesce difficile capire il perché di certe
scelte e certi passaggi, sia nelle decisioni dei vertici della Chiesa nei
confronti della comunità, sia di Don Zeno stesso, ma anche per chi come me non ha “il dono
della fede”, il libro si rivela interessante, per scoprire da un’ottica del
tutto personale e privata, un’esperienza che in realtà, con tutti i suoi pregi
e difetti, resta comunque, a mio modo di vedere, un esempio di coerenza con il
messaggio evangelico sperimentato da una realtà cattolica (le due cose, per me
non viaggiano insieme molto spesso nella storia del cattolicesimo) e allo stesso tempo modello precursore di
altre esperienze comunitarie, non necessariamente “agite” dalla fede.
Caso per caso, mi ha colpito anche la coincidenza che il
primo fra i bambini di Nomadelfia che Valeria ebbe in affido, (prima ancora di
cominciare ad allevare i propri che sarebbero poi stati ben sette!) fu Beppe Lopetrone, persona che da adulto
riuscì a guadagnare una certa notorietà grazie al suo lavoro di fotografo di
moda e al quale non mancò un certo gusto per la provocazione culturale e
politica (non lo conobbi mai di persona, ma lo ricordo “dall’altra parte della
barricata”, a inizio anni ’90, nel pieno della mia esperienza politica per il
partitone).
Come lo spirito di sobrietà evangelica di Nomadelfia potesse
sposarsi con il mondo della moda, per me resta un mistero, ma anche nel suo
caso, l’infinito affetto espresso da questa madre adottiva nei suoi confronti, mi
hanno obbligato a stemperare molto di quello che erano i miei pensieri di
allora.
Quindi, che dire, lettura lontanissima dalle mie “corde”, proprio
per questo c’è da ritenersi fortunati per la le coincidenze che mi hanno
“obbligato” a scoprirla e quindi… grazie.
Valeria Cammertoni mi ha fatto arrivare per altre vie questo commento, che pubblico con piacere e rispetto, nella diversità di opinioni e percorsi.
RispondiEliminaDon Zeno Saltini, l’eroico prete carpigiano, chiamato il rivoluzionario di Dio, se non avesse accolto la fede in Dio, come avrebbe trovato la forza per fare quello che ha fatto?
Lei Lorenzo dice che è senza fede, ma Dio da a tutti gli uomini la fede in lui, solo che bisogna coglierla, ascoltarla perché essa ci guidi attraverso le tante difficoltà della vita.
Non la voglio convertire… Con il suo esempio e il suo carisma, Don Zeno è riuscito a far comprendere alle ragazze che lo hanno seguito il valore della vita comunitaria, diventando mamme di tanti figli, soli nel mondo e abbandonati, poi circondati dall’amore e la cura di essi, che sono rinati alla vita.
La fede viva in Cristo, attraverso la Parola del Vangelo, che Don Zeno con noi voleva realizzare per aiutarci a vicenda e migliorare la vita degli uomini.
Non è facile realizzare il Vangelo di Cristo perché l’egoismo umano prevale sempre.
Solo lo Spirito di Dio ci aiuta a superare i nostri limiti umani.
Anche io ho sentito questo richiamo di fede ed ho seguito Don Zeno insieme a mio marito Pietro, amando e vivendo questa vita comunitaria per tanti anni, allevando i figli nostri e quelli della comunità a noi affidati, serenamente, con coraggio ed umiltà.
Mio figlio Beppe, che presi che aveva 5 mesi e io 18 anni, è stato amato e cresciuto con i miei figli. Era un ragazzo e poi un uomo pieno di sogni, un artista, generoso, con un cuore grande; ha sempre aiutato Nomadelfia anche con il suo lavoro e quando e dove ha potuto ha aiutato molti; è sempre stato vicino a Nomadelfia con il suo cuore; ora è nel piccolo cimitero della Comunità, dove ha voluto essere sepolto, guardando verso il mare che lui amava.
Ci provi ad accogliere la fede come papa Francesco, molto simile a Don Zeno, perché la fede in Dio muove le montagne!
Grazie e Auguri
Valeria Cammertoni
La realta' di nomafelfia e' stato un miracolo che il Signore ci ha donato nel dopo guerra. Ora che le guerre non finiscono mai ce ne vrrebbe una in ogni stato.
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