Premesso che
un’affluenza così bassa a livello nazionale non me l’aspettavo (nella mia beata
ingenuità ero convito si arrivasse almeno al 40%, per quanto ugualmente
inutile), vediamo se di numeri del voto carpigiano si riesce a tirare fuori
qualcosa.
Dice il sito
comunale che hanno votato in 21.687 (affluenza poco sopra il 42%), di
questi 18.074 per il Sì.
Personale
impressione, costruita da quel po’ di frequentazioni reali e virtuali di questi
giorni, è che tale dato non si sarebbe potuto raggiungere senza un nutrito
apporto di elettori PD a Carpi, tenuto conto che la base elettorale del M5S
gira intorno ai 10.000 voti e tenuto conto che l’elettorato di centrodestra, di
suo poco sensibile alle competizioni referendarie, era diviso fra indicazioni
tardive e contraddittorie, ma sicuramente non sarà stato particolarmente
motivato da una campagna per il Sì, di stampo marcatamente ambientalista.
Quindi, per
gli inguaribili ottimisti, si può portare la lieta novella che il partitone
carpigiano ha una buona fetta non disciplinatamente renziana, ma qui cominciano
e finiscono le buone notizie, per chi vuole leggere questo referendum come
primo tempo di quello Costituzionale che si terrà a ottobre o per altre tendenze
elettorali in genere.
Mi spiego.
Su questo
referendum, tutto sommato, il dissenso “interno” rischiava poco: quorum
difficile da raggiungere, in caso di successo comunque il governo non sarebbe
stato a rischio, tuttalpiù la minoranza interna avrebbe provato a far pesare
maggiormente il proprio potere contrattuale, ma per l’appunto, per avere un
potere contrattuale in ogni caso questo governo doveva restare in piedi,
contrariamente a quanto succederebbe con una vittoria dei NO al referendum
Costituzionale di ottobre.
Ergo, la “libera uscita” era concessa e qualche
esponente del partitone nostrano, seppure in zona Cesarini, si è comunque
pubblicamente e onestamente esposto per il Sì (ad esempio l’assessore Tosi),
altri hanno fatto più i gatti mammoni, non
dichiarandosi o dichiarandosi solo a giochi fatti e magari andando a votare
“alla Mattarella”, ovvero in ora tarda, quando ormai era chiaro che voto più o
voto meno, la cosa avrebbe pesato poco, a intanto ci si metteva a posto la
coscienza.
E anche così, i voti in “dissenso”, a mio parere sono stati
largamente sotto le aspettative.
A ottobre, dichiarazioni fuori dal seminato rispetto al mandato di partito saranno molto meno tollerate e
per assessori al secondo mandato e altre forme di professionismo politico
locale a rischio , sarà molto più dura riuscire a rendere pubbliche opinioni
avverse al Sì alla riforma Renzi-Boschi (ammesso che opinioni avverse ci siano), dato che su quel voto il segretario nazionale del partito
(nonché Presidente del Consiglio) ha giocato la sopravvivenza del governo.
Quindi per i
contrari alla riforma Renzi-Boschi, sicuramente, dopo questo
risultato, la lotta appare tutta in salita: il partitone già a questo giro si è dimostrato più compatto del previsto, figuriamoci a ottobre..
Ancora più
di ieri, Renzi a ottobre avrà dalla sua : la macchina del partitone (per quanto smagrita
negli anni di iscritti e volontari), un pezzo di elettorato di centrodestra (e
non perché è alleato di Veridni, ma proprio perché Renzi piace ad una fascia di quell’elettorato e lo
rappresenta appieno), quel po’ di centrodestra istituzionale che si aggrappa a
Renzi per la sopravvivenza (alfaniani e affini).
Stando così le cose, paradossalmente, anche ad ottobre, pur in assenza di quorum, l’affluenza sarà la vera
determinante dell’esito del voto.
C’è infine un
aspetto, se vogliamo più “sociologico” che politico, nel risultato di questo
referendum e nella qualità del confronto politico di questi mesi, ovvero
l’impressione nettissima che sia aumentato il livello di incomunicabilità tra
chi sta al potere e chi alle opposizioni , con il risultato che le componenti
dell’elettorato meno militanti, semplicemente non trovino interessante il
confronto e si ritirino dalla partecipazione politica, fosse anche solo in
forma di esercizio del diritto di voto.
Essendo io
un “militante” (fra molte virgolette, visto che, per inciso, al momento sono un
militante orfano di organizzazione, data la situazione a sinistra del PD), come
tutti avrò anche la mia parte di colpa nel rendere difficile da leggere a
stanchi e distratti quale sia la posta in gioco nel dibattito politico di
questi anni, ridotto a competizione fra diversi sistemi di potere e interessi,
sempre comunque privati e volti a fare gli affari propri prima di quelli della
collettività, che in realtà nella disaffezione al voto della maggioranza e
nella possibilità di ridurre la democrazia a competizione per il potere, fra
minoranze qualificate e dalle impostazione programmatiche sempre meno sfumate,
diverse solo per qualità più o meno carismatiche dei propri leader e delle loro
capacità affabulatorie nei confronti di masse sempre più distratte e
assuefatte, mentre gli interessi veri si gestiscono al riparo da sguardi
indiscrete, tra manine e manone che scrivono emendamenti notte tempo.
Sia come
sia, il partitone ha ancora una massa di consenso e militanza, per quanto in
calo in termini assoluti ed ereditata senza merito dall’attuale classe
dirigente, che gli consente di dormire sonni tranquilli ancora per un paio di
tornate elettorali, salvo che l’eccesso di arroganza di cui già da un po’ si
vedono i segnali, non li renda eccessivamente “spericolati” e indigesti anche
al proprio elettorato, fino ad intaccare ulteriormente il ramo su cui sono
seduti.
Dopo il
ventennio berlusconiano, ci toccherà quello
renziano, del tutto similare nella sostanza anche se non nella forma,
sempre che le due uniche opposizioni per
me interessanti (sinistra e movimenti come quelli coagulati intorno alle
iniziative referendarie del 2010 e M5S),
non imparino dai loro errori di questi anni e non trovino, ognuno a suo modo,
la strada per andare oltre i propri elettorati di appartenenza.
Cercasi
demiurghi disperatamente, per Carpi e per il resto del Paese, per costruire
alternative credibili.
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