Il voto a Carpi, secondo me (edizione Referendum 2016)

Premesso che un’affluenza così bassa a livello nazionale non me l’aspettavo (nella mia beata ingenuità ero convito si arrivasse almeno al 40%, per quanto ugualmente inutile), vediamo se di numeri del voto carpigiano si riesce a tirare fuori qualcosa.

Dice il sito comunale che hanno votato in 21.687 (affluenza poco sopra il 42%), di questi  18.074 per il Sì.
Personale impressione, costruita da quel po’ di frequentazioni reali e virtuali di questi giorni, è che tale dato non si sarebbe potuto raggiungere senza un nutrito apporto di elettori PD a Carpi, tenuto conto che la base elettorale del M5S gira intorno ai 10.000 voti e tenuto conto che l’elettorato di centrodestra, di suo poco sensibile alle competizioni referendarie, era diviso fra indicazioni tardive e contraddittorie, ma sicuramente non sarà stato particolarmente motivato da una campagna per il Sì, di stampo marcatamente ambientalista.

Quindi, per gli inguaribili ottimisti, si può portare la lieta novella che il partitone carpigiano ha una buona fetta non disciplinatamente renziana, ma qui cominciano e finiscono le buone notizie, per chi vuole leggere questo referendum come primo tempo di quello Costituzionale che si terrà a ottobre o per altre tendenze elettorali in genere.

Mi spiego.
Su questo referendum, tutto sommato, il dissenso “interno” rischiava poco: quorum difficile da raggiungere, in caso di successo comunque il governo non sarebbe stato a rischio, tuttalpiù la minoranza interna avrebbe provato a far pesare maggiormente il proprio potere contrattuale, ma per l’appunto, per avere un potere contrattuale in ogni caso questo governo doveva restare in piedi, contrariamente a quanto succederebbe con una vittoria dei NO al referendum Costituzionale di ottobre.
Ergo, la “libera uscita” era concessa e qualche esponente del partitone nostrano, seppure in zona Cesarini, si è comunque pubblicamente e onestamente esposto per il Sì (ad esempio l’assessore Tosi), altri hanno fatto più i gatti mammoni,  non dichiarandosi o dichiarandosi solo a giochi fatti e magari andando a votare “alla Mattarella”, ovvero in ora tarda, quando ormai era chiaro che voto più o voto meno, la cosa avrebbe pesato poco, a intanto ci si metteva a posto la coscienza. 
E anche così, i voti in “dissenso”, a mio parere sono stati largamente sotto le aspettative.

A ottobre, dichiarazioni fuori dal seminato rispetto al mandato di partito saranno molto meno tollerate e per assessori al secondo mandato e altre forme di professionismo politico locale a rischio , sarà molto più dura riuscire a rendere pubbliche opinioni avverse al Sì alla riforma Renzi-Boschi (ammesso che opinioni avverse ci siano), dato che su quel voto il segretario nazionale del partito (nonché Presidente del Consiglio) ha giocato la sopravvivenza del governo.
Quindi per i contrari alla riforma Renzi-Boschi, sicuramente, dopo questo risultato, la lotta appare tutta in salita: il partitone già a questo giro si è dimostrato più compatto del previsto, figuriamoci a ottobre..

Ancora più di ieri, Renzi a ottobre avrà dalla sua : la macchina del partitone (per quanto smagrita negli anni di iscritti e volontari), un pezzo di elettorato di centrodestra (e non perché è alleato di Veridni, ma proprio perché Renzi  piace ad una fascia di quell’elettorato e lo rappresenta appieno), quel po’ di centrodestra istituzionale che si aggrappa a Renzi per la sopravvivenza (alfaniani e affini).

Stando così le cose, paradossalmente, anche ad ottobre, pur in assenza di quorum, l’affluenza sarà la vera determinante dell’esito del voto.
 Posto che le opposizioni più determinate (o “avvelenate”)  al renzismo (sigle varie  di sinistra, M5S e Lega) riescano a mobilitare il proprio elettorato e pezzi di elettorato “disgustato” da un po’ di anni congelato nell’astensione,  l’unica speranza di bloccare la riforma è che la maggioranza più o meno silenziosa che sostiene il renzismo (e va ben oltre il solo voto del PD) non si presenti alle urne, per eccesso di fiducia e pigrizia.

C’è infine un aspetto, se vogliamo più “sociologico” che politico, nel risultato di questo referendum e nella qualità del confronto politico di questi mesi, ovvero l’impressione nettissima che sia aumentato il livello di incomunicabilità tra chi sta al potere e chi alle opposizioni , con il risultato che le componenti dell’elettorato meno militanti, semplicemente non trovino interessante il confronto e si ritirino dalla partecipazione politica, fosse anche solo in forma di esercizio del diritto di voto.

Essendo io un “militante” (fra molte virgolette, visto che, per inciso, al momento sono un militante orfano di organizzazione, data la situazione a sinistra del PD), come tutti avrò anche la mia parte di colpa nel rendere difficile da leggere a stanchi e distratti quale sia la posta in gioco nel dibattito politico di questi anni, ridotto a competizione fra diversi sistemi di potere e interessi, sempre comunque privati e volti a fare gli affari propri prima di quelli della collettività, che in realtà nella disaffezione al voto della maggioranza e nella possibilità di ridurre la democrazia a competizione per il potere, fra minoranze qualificate e dalle impostazione programmatiche sempre meno sfumate, diverse solo per qualità più o meno carismatiche dei propri leader e delle loro capacità affabulatorie nei confronti di masse sempre più distratte e assuefatte, mentre gli interessi veri si gestiscono al riparo da sguardi indiscrete, tra manine e manone che scrivono emendamenti notte tempo.
Sia come sia, il partitone ha ancora una massa di consenso e militanza, per quanto in calo in termini assoluti ed ereditata senza merito dall’attuale classe dirigente, che gli consente di dormire sonni tranquilli ancora per un paio di tornate elettorali, salvo che l’eccesso di arroganza di cui già da un po’ si vedono i segnali, non li renda eccessivamente “spericolati” e indigesti anche al proprio elettorato, fino ad intaccare ulteriormente il ramo su cui sono seduti.

Dopo il ventennio berlusconiano, ci toccherà quello  renziano, del tutto similare nella sostanza anche se non nella forma, sempre che le due uniche opposizioni  per me interessanti (sinistra e movimenti come quelli coagulati intorno alle iniziative referendarie del 2010  e M5S), non imparino dai loro errori di questi anni e non trovino, ognuno a suo modo, la strada per andare oltre i propri elettorati di appartenenza.


Cercasi demiurghi disperatamente, per Carpi e per il resto del Paese, per costruire alternative credibili.

Commenti