Da ascoltatore medio di tg e “umarèl” dei cantieri politici
altrui, alla fine di questa giornata che pareva dovesse essere decisiva per le sorti
del partitone, posso serenamente dire di non aver capito come si sia chiusa.
Non avendo seguito agenzie, controagenzie ed avendo adocchiato
l’indefesso Mentana solo in orario aperitivo, beccandomi il redivivo Epifani, l’unica
cosa certa è che l’ennesimo penultimo giorno definitivo rimanda tutti ad una
direzione prevista martedì, durante la quale si saprà se Renzi e i suoi
oppositori riusciranno a tenere i cocci insieme oppure no.
Che questo succeda o non succeda, azzardo un’idea di quel
che capiterà qua in Emilia e in particolar modo in quel di Carpi nei prossimi
due anni: niente.
O meglio, a volerle leggere, certe situazioni saranno ricche
di paradossi e coloriture “sociologiche”, ma sono abbastanza certo che, se
scissione ci sarà, le conseguenze saranno ben diverse da quelle che si
immaginano gli scissionisti, per ragioni “antropologiche” prima ancora che
politiche.
Il partito dei
funzionari
In questi giorni abbiamo visto moltiplicarsi gli appelli di
amministratori locali e non a favore “dell’unità” del partito.
Per l’unico partito che, nel bene e nel male, mantiene
ancora un’organizzazione reale, da queste parti i i funzionari, per quanto in
ranghi ridotti, esistono ancora, anche se molti di loro ricoprono oggi
incarichi elettivi, (solo a Carpi sono direi almeno quattro tanto per dire), e
nonostante l’apparato emiliano fosse tutto largamente di stampo ex DS e quindi
tetragonicamente bersaniano, una scissione sarebbe una iattura.
I tempi sono cambiati e ne sono coscienti, il partitone non
può garantire già oggi tutte le possibilità (legittime) di percorso
professionale in politica che garantiva un tempo, figuriamoci se ci si trova
pure una scissione da gestire, quando già iscritti e militanti si vanno
diradando.
Nulla fa più male alle organizzazioni delle divisioni al
vertice, figuriamoci se portano a spaccature vere e proprie.
Risultato: sono pronto a scommettere (un caffè) che in caso
di scissione, nessun funzionario politico attualmente stipendiato dal partito e
pochissimi fra sindaci, assessori e consiglieri regionali seguiranno gli “scissionisti”.
Per i parlamentari potrà esserci qualche caso fra chi è a
fine mandato o comunque ormai si è “bruciato” nella sostegno alla minoranza, ma
non mi pare ci siano casi di questo tipo in provincia nonostante, anche in
questo caso, la pattuglia modenese fosse largamente e storicamente bersaniana).
Attenzione, non sto dicendo che tutti “tengono famiglia” o
che sia solo una questione di carrierismo: sono abbastanza convinto che in
molti di loro ci sia un onesto sentimento di appartenenza alla “ditta”, che proprio
per questo, per prima cosa, impedisce che l’esistenza della “ditta” venga messa
in discussione.
Se davvero scissione sarà, che proprio Bersani agisca come
se non conoscesse l’apparato in cui è vissuto un’intera vita, mi pare una delle
principali anomalie di questa storia. L’unica cosa che vien da pensare è che
comunque, “loro”, a livello nazionale, non hanno più niente da perdere, avendo
perso comunque la guida del partito e con ogni probabilità anche la “forza”
contrattuale per determinare le liste alle prossime elezioni, salvo una piccola
riserva indiana.
Il partito della “base”
Se poi passiamo dal ”apparato” alla “base”, il discorso si
fa ancora più paradossale.
Negli anni, i numeri del tesseramento sono calati un bel po’,
mentre l’età media degli iscritti ha raggiunto preoccupanti soglie d’anzianità
(fenomeno già in corso anche quando il partitone era ancora nella sua prima
versione post-comunista, il PDS dei primi anni 90).
Paradossalmente, questa “base” anziana, sarà la meno
disponibile a seguire avventure strane anche se guidate da vecchi leader,
osannati in passato, quali D’Alema e Bersani.
Proprio per loro, l’unità del partito, è una necessità
identitaria, forse ancora più forte di
quella del “partito dei funzionari” (e sinceramente lo è in una misura che in
passato avevo sottovalutato, dato che non avrei mai detto che sarebbero
riusciti a digerire il renzismo così in fretta, e che altrettanto in fretta
venissero invece “digeriti” dal renzismo i nostri amministratori locali).
In altre parole: qua non c’è alcuna frattura o scissione fra
base e vertice, e non conta che siano “renziani” o meno: stanno (o stavano)
diventando tutti “renziani” nella misura in cui Renzi era comunque il
segretario del partito.
Scissi da chi?
Allora a chi “parlano”, da queste parti, gli “scissionisiti”?
Ad un manipolo molto ristretto di militanti, qualcuno anche con ruoli di rappresentanza istituzionale, ma non politici di professione (leggasi: qualche consigliere comunale), che masticando politica, avendo un qualche seguito per prestigio personale, non dipendendo per il proprio stipendio dal partito e a quel po’ di “collateralismo” residuo nei sindacati e nelle associazioni che più hanno ricevuto botte da Renzi in questi tre anni.
Ad un manipolo molto ristretto di militanti, qualcuno anche con ruoli di rappresentanza istituzionale, ma non politici di professione (leggasi: qualche consigliere comunale), che masticando politica, avendo un qualche seguito per prestigio personale, non dipendendo per il proprio stipendio dal partito e a quel po’ di “collateralismo” residuo nei sindacati e nelle associazioni che più hanno ricevuto botte da Renzi in questi tre anni.
Persone che possono permettersi il lusso di fare le pulci
alla politica renziana, partendo da legittime opzioni programmatiche e
valoriali, supportate dal dato di fatto che il PD di Renzi negli ultimi due
anni, ha perso numerosi consensi a livello nazionale (meno da queste parti), e
sicuramente molti iscritti (se non fosse che gli iscritti ai partiti sono
sempre e comunque un piccolissima minoranza dell’elettorato, di cui una leadership
spregiudicata può, entro certi limiti, fare a meno).
Messa così, qua da noi (ma a naso anche a livello
nazionale), il risultato a due cifre che sventola D’Alema per l’eventuale
formazione “a sinistra” del PD (ma a destra delle altre venti sigle di sinistra
attualmente esistenti), appare lontano come un miraggio, così come modeste
sembrano le possibilità che l’ondata(ina) di fuoriusciti dal PD, possa poi
davvero amalgamarsi con le altre organizzazioni di sinistra che si contendono
una fascia di elettori sempre più stretta, sempre più disillusa.
In altri termini: gli scissionisti a livello nazionale sono
rappresentati da una generazione di sessantenni, con un curriculum politico
alle spalle chilometrico, che paradossalmente non riuscirà a spostare quella
fetta di elettori anziani, che anche nelle peggiori prestazioni alle ultime
amministrative e al referendum, ha continuato a votare Renzi.
Al tempo stesso non si capisce per quale motivo, le fasce di
elettorato più giovane, dovrebbero sentirsi rappresentati da una classe
dirigente, il cui principale merito oggi, dopo quello di avere annacquato
sempre più verso posizioni centriste la linea di quello che una volta fu il
PCI, spianando di fatto la strada al renzismo di oggi, pretende addirittura di
ammantarsi di caratteristiche “rivoluzionarie” (il nome dato all’assemblea
della minoranza di sabato “Rivoluzione Socialista”, ostenta un notevole sprezzo
del ridicolo).
Risultato: con o senza scissione, i rapporti di forza
attuale cambieranno di poco al nostro livello locale (con i sistemi elettorali
previsti per comuni e regione), con i “delusi” del renzismo che molto
probabilmente si rifugeranno nell’astensione più che in altre avventurose
formazioni, che difficilmente potrebbero avere nomi “di spicco” fra quelli
abituati a sentire dai militanti carpigiani o modenesi del PD e che comunque,
per non “smentirsi” nelle loro premesse di fare tutto questo con spirito “ulivista”,
sarebbero poi obbligate a cercare con il PD l’alleanza elettorale (quindi mi
scindo per allearmi con colui da cui mi sono scisso: un’esibizione di
contorsionismo degna dei migliori circhi).
In altri termini, la situazione è triste ma non tragica, per
i militanti del partitone a livello locale, semplicemente per amor di partito,
qualcuno lo perderanno per strada, gli altri diventeranno tutti renziani fino a
quando sarà Renzi a rappresentare il partito, ci sarà qualche voto in meno alle
elezioni e forse qualche difficoltà in più a riempire i turni alle Feste dell’Unità,
ma
la “macchina” continuerà a funzionare ancora per un lustro, salvo disastri.
Quel che succederà a livello nazionale invece sarà anche in gran parte effetto di quale legge elettorale alla fine partoriranno quei volponi che oggi siedono in Parlamento, dopo il brillante successo dell’operazione Italicum, ma la scissione tra una “classe dirigente” e il proprio “popolo”, oggi come oggi, mi pare sia meglio rappresentata proprio dai vari Bersani, Rossi, Speranza.
Quel che succederà a livello nazionale invece sarà anche in gran parte effetto di quale legge elettorale alla fine partoriranno quei volponi che oggi siedono in Parlamento, dopo il brillante successo dell’operazione Italicum, ma la scissione tra una “classe dirigente” e il proprio “popolo”, oggi come oggi, mi pare sia meglio rappresentata proprio dai vari Bersani, Rossi, Speranza.
Dopo aver scritto
tutto ciò, ho avuto modo di vedere in rete l’intervento del carpigiano Giovanni Taurasi
all’Assemblea Nazionale.
Dato che, per una
volta, almeno sulla descrizione antropologica del Compagno Z, siamo d’accordo
(ma lui è decisamente più sagace nella descrizione), ve la segnalo: http://www.unita.tv/speciali/assemblea-nazionale-pd-intervento-di-giovanni-taurasi/
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