In attesa di commentare i risultati carpigiani definitivi (spoiler: dello squadrone di candidati carpigiani alla fine rischia di rimanerne soltanto una e sarà una delle tre peggiori opzioni che potevano capitare), vale la pena spendere due parole sulla desertificazione della partecipazione elettorale.
Oggi, sulla via del ritorno con una trasferta di circa 5 ore, ho avuto modo di ascoltare il fior fiore di opinionisti e politici nostrani, che si dichiaravano tutti affranti e preoccupati per il drastico calo della partecipazione, specie in Emilia Romagna.
Sono state drammatiche lamentazioni sulla crisi della democrazia e manifestazioni di viva preoccupazione, condite da qualche strale verso l'elettorato, specie quello giovane, che probabilmente manco sa per cosa avrebbe dovuto votare.
In 5 ore di viaggio non ne ho sentito uno, politico o giornalista, che fosse in grado di fare un ragionamento sensato sul fatto che forse, il problema, in parte, sta in sistemi elettorali maggioritari a turno unico che, nei fatti, obbligano ad un bipolarismo che con il nostro sistema Costituzionale non è mai centrato nulla, ma che dai primi anni '90 in poi, con il contributo attivo di PDS-DS-PD e della destra ha sempre più preso piede.
Da un lato per la tendenza ad appecoronarsi dietro ad un leader, che contraddistingue la destra nostrana da circa un secolo, dall'altra pure (che il leaderismo non è certo un vizio assente tra il partitone e i suoi soci), ma condito con il politicamente corretto della "governabilità".
Dopo trent'anni di ubriacatura per il maggioritario, con una legge elettorale regionale il cui modello trova le radici appunto nell'accordo con il fu Tatarella (missino) e il DS poi PD in pieno scimmiottamento americano, sarebbe ora di riconoscere che il bipolarismo forzato e finto, fra coalizione che vogliono tutto e il contrario di tutto, con forti distorsioni della rappresentanza dell'elettorato, aveva ed ha come unico obiettivo lo "smorzare" il ruolo delle assemblee elettive ed eliminare l'emergere di qualsiasi alternativa a due blocchi, non troppo dissimili fra loro sui fondamentali.
Le classi dirigenti di tutti e due gli schieramenti degli anni novanta (con rare eccezioni), volevano (e vogliono ancora) avere le "mani libere" una volta vinto il governo.
Per farlo era necessario togliere ogni possibilità di "tribuna" a visioni non allineate e irregimentare le maggioranze assembleari, trasformate in semplici passacarte degli esecutivi a suon di voti di fiducia nel parlamento nazionale e svuotate di ogni potere a livello comunale e regionale.
L'unico problema è che in questo modo, progressivamente, una fetta dell'elettorato ha perso ogni interesse "all'agone elettorale", dato che, nel caso di piccoli partiti, gli si è messa la tagliola di soglie di sbarramento condita da circoscrizioni con numero di posti limitati che hanno obbligato a disperdersi o nel ricatto del "voto utile" o nell'astensione senza speranza.
Oppure, come nel caso odierno, in elezioni dove il finale è chiaro da mesi, l'elettorato della parte "perdente" rinuncia a partecipare perchè, in ogni caso, il ruolo degli eletti in opposizione in assemblee che già non contano nulla per la maggioranza, viene percepito come irrilevante (e la qualità degli eletti a volte giustifica pienamente questa visione).
Per un po' ci erano riusciti i 5 Stelle a mettere sabbia nell'ingranaggio, e non per nulla alle loro origini c'era la richiesta del proporzionale puro e il rafforzamento degli strumenti di democrazia diretta (leggi di iniziativa popolare e referendum propositivi). Tutta roba abbandonata quando al governo ci sono arrivati loro ed ora, ormai completamente "normalizzati", sono giustamente sull'orlo dell'estinzione elettorale, salvo garantirsi qualche scranno accodandosi ad una delle due "maggioranze".
Tutti gli altri di destra o sedicente "centrosinistra", sono quindici anni buoni che fanno finta di essere preoccupati per il costante aumento dell'astensionismo il giorno dopo le elezioni (e solo per quel giorno), ma la verità è che, specie in sistemi maggioritari a turno unico con elezione diretta del "capo" di un esecutivo come per le regionali, meno gente va a votare meglio è, per chi è al potere o per chi crede di poterci arrivare, dato che conta solo chi vince e per vincere basta controllare fette di elettorato fedele, più gestibili che se al voto ci andasse ancora il 90% degli aventi diritto.
Una totale sconfessione dell'impostazione che diedero alle nostre istituzioni i Costituenti ma per loro signori e signore, che siano nostalgici di Benito o "governisti" del partitone, la cosa è del tutto irrilevante.
Almeno fino a quando non si ritroveranno a votare in tre (e forse manco allora).
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